Roma

Carmelo Bene è vivo. E svela il suo disgusto per il calcio. Il libro di Sgarbi

Elisabetta Sgarbi ha resuscitato dall’oblìo editoriale un pregevole volumetto di Carmelo Bene e Enrico Ghezzi “Discorso su due piedi”

di Patrizio J. Macci

Elisabetta Sgarbi ha resuscitato dall’oblìo editoriale un pregevole volumetto di Carmelo Bene e Enrico Ghezzi “Discorso su due piedi” (La nave di Teseo). Carmelo Bene che teorizza sul gioco del calcio e si reca allo stadio come se andasse a teatro, luogo dove invece non andava più da anni per noia e disgusto. 

Carmelo Bene aveva una cultura e una memoria visuale enciclopedica che arricchiva, tra lo studio di un testo teatrale e l’altro, trascorrendo le notti insonni davanti al suo mitico televisore Mitsubishi da 38 pollici. Il colloquio-intervista-dialogo da cui è tratto il testo è avvenuto nel 1998. Bene seguì il calcio dallo scudetto della Roma del 1982 per circa un decennio, recandosi a vedere alcuni match di calcio personalmente e passandoli allo scanner del suo occhio di critico implacabile.

“Il calcio ha bisogno di fish eye, ha bisogno di un panoramico, di una telecamera come a San Siro, mi pare al Meazza”. Il palleggio a due voci si sposta velocemente dal modulo di gioco a zona ai campioni indimenticabili di quegli anni ai brocchi, dal calcio ad altri sport, a libri e autori pressoché dimenticati o conosciuti da pochissimi.

"Il giocatore senza palla - svela Bene - per me equivale al giocatore senza mondo. E' colui che eccede il campione. Falcao, per esempio. Mentre Toninho Cerezo era un giocatore con la palla". "Portatore…", riverbera Ghezzi. "Portatore di palla. Quello senza palla...".

Sono centocinquantapagine di fuochi artificiali dove la chiacchierata parte da Paulo Roberto Falcao e Toninho Cerezo, arrivando a toccare altre discipline, e soprattutto la maniera stessa di fare e concepire il teatro e l'arte per Bene, e l'esperienza cinematografica e di "disturbatore televisivo" notturno di Enrico Ghezzi.

"Ma è stato così da sempre. Non ce la fanno, credo. Non ce la farebbero a correre il campo. Credo che sia un fatto fisico, fisiologico" risponde Carmelo Bene sui tempi di una partita. "Ma era stato calcolato per esempio, anche sul cinema - afferma Ghezzi - che ci fosse una sorta di soglia di attenzione e di sopportazione media dello stare seduti a vedere uno spettacolo, tra l'ora e mezza e le due. Io non so tutte queste analisi su quali basi siano state compiute". Anche in serie A ci sono cose da quarta serie". "Anche nelle coppe" aggiunge Ghezzi. "Nelle coppe soprattutto, dove c'è tanta noia" aggiunge Bene.

E infine la sentenza sulla ripresa televisiva che non ti fa vedere la partita ma l’uomo che ha la palla in quel momento. Tutto il resto rimane fuori dalla tele-visione (il giocatore che si gratta o attende di essere coinvolto nel gioco). Bene cerca anche nel momento atletico l'assoluto, come faceva ossessivamente sul palcoscenico: "non l'eterno ritorno ma il ritorno dell'eterno" che lui identifica nella squadra del Brasile. Il dialogo procede come una valanga tra provocazioni, voti in pagella e critiche spietate, allontanandosi dal tema della sfera di cuoio, ma arrivando a toccare altri sport, (fanno capolino il tennista Stefan Edberg, Carl Lewis, giocatori di basket), il cinema, il teatro, l'arte in ogni sua espressione. Bene non è mai banale, vince sempre in volata. Stacca l'avversario-lettore come una folata di vento e non mostra mai una goccia di sudore all'arrivo.