Roma
Carminati e Buzzi, due maghi dei cellulari. Mafia Capitale: i trucchi per sfuggire ai Ros
di Valentina Renzopaoli
Numeri di telefono intestati a persone straniere, attivati all'improvviso per poi scomparire nel giro di un mese, massimo un mese e mezzo. Linee telefoniche apparentemente riconducibili a personaggi estranei alla loro cerchia, usate come percorso privilegiato e riservato per scambiarsi informazioni e fissare appuntamenti: Massimo Carminati e Salvatore Buzzi avevano studiato un preciso sistema di utenze “dedicate” per dialogare tra loro. E, per rendere più difficoltose eventuali “interferenze” dall'esterno, l'ex Nar si era fatto procurare un “jammer”, ovvero uno strumento utilizzato per impedire ai telefoni cellulari di ricevere o trasmettere onde radio.
E' quanto ha ricostruito nell'udienza di lunedì il capitano Federica Carletti, del II reparto investigativo dei Ros. Il terzo ufficiale che si è seduto sul banco dei testimoni dall'inizio del maxi processo Mafia Capitale, ha ricostruito l'iter investigativo che ha portato alla scoperta dell'“esistenza di utenze dedicate per rendere eventuali captazioni più difficoltose” e di come molti dei collaboratori dei due principali imputati del processo fossero stati a conoscenza di questo sistema di comunicazione.
“Me lo devi salvare come black”, chiede Buzzi a Carminati parlando di una utenza telefonica durante una telefonata fatta nel suo ufficio di via Pomona, davanti a Claudio Caldarelli, Michele Nacamulli, Carlo Maria Guaranay il 12 giugno 2014; circostanza captata dagli investigatori attraverso una registrazione ambientale.
Lo stesso Carminati già in precedenza, parlando al cellulare con Fabrizio Testa, anche lui imputato, aveva spiegato di come le loro utenze venissero cambiate periodicamente e frequentemente.
E quando il 3 aprile 2013 Buzzi telefona al “cecato” con un'utenza intestata alla Cooperativa 29 giugno, il re delle coop spiega: “Me s'è rotto...” e fissa un appuntamento per “riattivare il contatto”.
Un'attenzione, quella per la riservatezza delle comunicazioni tra i componenti del sodalizio che, ad ascoltare la ricostruzione del capitano Federica Carletti, diventa vera e propria allerta all'indomani del primo blitz della Guardia di Finanza nella casa di Salvatore Buzzi, il 12 novembre 2013. Un episodio che scatena preoccupazioni e sospetti, come risulterebbe da una serie di intercettazioni telefoniche e soprattutto ambientali registrate, in particolare nell'ufficio di Buzzi di via Pomona. Tanto che, a quel punto, il sodalizio decide di comprare il jammer, l'apparecchio capace di disturbare le frequenze dei cellulari. Strumento che risulterebbe istallato e all'opera a partire dal gennaio 2014 nella “base” di via Pomona.