Caso Charlie, il Bambin Gesù si arrende: era troppo tardi per intervenire
L'Ospedale romano ammette la sconfitta: “Non si sa se la cura sarebbe servita”
Era troppo tardi per spostare Charlie in Italia: si sarebbe trattato di accanimento terapeutico. Questo il commento finale del Bambin Gesù sul caso del neonato inglese affetto da una patologia incurabile con la medicina tradizionale.
L'ospedale si è espresso ancora una volta sul caso dopo l'annuncio che al piccolo verrà staccata la spina dei macchinari che lo stanno tenendo in vita. Il Bambin Gesù tra fine giugno e inizio luglio aveva proposto alla famiglia e alla struttura inglese dov'è ricoverato al momento il neonato di trasferirlo in Italia per iniziare una cura sperimentale. Lo spostamento, però, non era stato possibile e Charlie era rimasto nel Regno Unito senza più speranza di guarigione.
"Abbiamo fatto tutto quello che potevamo per rispondere all'appello della famiglia e cercare di dare un'opportunità ulteriore di cura al piccolo Charlie. Confermiamo, alla luce delle evidenze scientifiche richiamate nel documento firmato dai ricercatori internazionali, che la terapia sperimentale con deossinucleotidi poteva essere un'opportunità per il bambino e potrà esserlo in futuro per tutti i malati rari con la stessa tipologia o simili - si legge in una nota del Bambin Gesù al termine della conferenza stampa sul caso Charlie Gard - Purtroppo però alla luce della valutazione clinica congiunta effettuata sul posto dal il professore Bertini, primario di malattie muscolari e neurodegenerative dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù, insieme al professore della Columbia university Michio Hirano che hanno constatato l'impossibilità di avviare un percorso terapeutico sperimentale, a causa delle condizioni gravemente compromesse del tessuto muscolare di Charlie. Per questo abbiamo considerato un accanimento terapeutico il tentativo della terapia sperimentale. In questo caso, abbiamo constato di essere arrivati forse troppo tardi", scrive l'Ospedale.
Ai giornalisti che chiedevano se con le cure sperimentali si sarebbe potuta salvare la vita del piccolo, l'Ospedale risponde che non ci può essere certezza in merito, dato che ogni paziente può reagire in maniera diversa ai trattamenti: "Non siamo in grado di sapere cosa sarebbe potuto succedere sei mesi fa. Non possiamo sapere se Charlie avrebbe risposto alla terapia sperimentale, perché siamo di fronte a una condizione rara di cui non conosciamo la storia naturale e della quale non disponiamo di protocolli terapeutici riconosciuti".
Il caso ha smosso le coscienze internazionali, coinvolgendo nel dibattito la comunità scientifica europea: "Per la prima volta su un singolo paziente si è mossa la comunità scientifica internazionale. Questa è la vera eredità del caso Charlie: l'impegno a sviluppare concretamente un modello di medicina personalizzata" conclude il testo.