Roma

“Clan Fasciani è la mafia di Ostia”: Corte di Cassazione conferma le condanne

La Suprema Corte respinge i ricorsi di 9 dei 12 imputati: il clan Fasciani è un'associazione di stampo mafioso

"Il clan Fasciani è la mafia di Ostia". Così hanno deciso i giudici della seconda sezione penale della Cassazione. Gli ermellini, respingendo i ricorsi di 9 dei 12 imputati contro la sentenza della Corte di Appello di Roma, hanno confermato la sussistenza nel territorio del Municipio X di una associazione di stampo mafioso.

 

La Suprema Corte, presieduta da Giovanni Diotallevi, ha così confermato quanto richiesto nella giornata di giovedì dal pg Pietro Gaeta durante la sua requisitoria: le condanne definitive agli appartenenti al clan superano i 140 anni di reclusione. Oltre 27 anni di reclusione al “patriarca” Carmine Fasciani, 12 anni e 5 mesi alla moglie Silvia Franca Bartoli, 11 anni e 4 mesi alla figlia Sabrina e 6 anni e dieci mesi alla figlia Azzurra. Il collegio della seconda sezione penale della Cassazione ha condannato anche Alessandro Fasciani, nipote di Carmine, a 10 anni e cinque mesi (per lui sconto di pena di un mese), Terenzio Fasciani (8 anni e mezzo), Riccardo Sibio (25 anni e mezzo), Luciano Bitti (13 anni e tre mesi), a John Gilberto Colabella 13 anni, Danilo Anselmi 7 anni. Ci sarà un nuovo processo per la determinazione della pena a Mirko Mazzoni ed Eugenio Ferramo.

La Cassazione si era già occupata di questo processo nell'ottobre 2017, quando, in accoglimento del ricorso dei pg della Capitale, la sesta sezione penale annullò con rinvio la sentenza con cui il 13 giugno 2016 i giudici d'appello di Roma avevano fatto cadere l'aggravante mafiosa nei confronti degli imputati, ritenendoli responsabili solo di associazione a delinquere e riducendo cosi' nettamente le condanne che in primo grado erano state pesantissime, con pene complessive di oltre 200 anni di carcere. Con il verdetto d'appello-bis - ieri impugnato in Cassazione - i giudici romani, applicando i principi indicati dalla Suprema Corte, erano quindi tornati a riconoscere la sussistenza dello stampo mafioso nel reato associativo.