Roma
Comune, il Pd prova col rimpasto. Ma chi si lega a Marino affonda
All'ombra del Marco Aurelio, il Pd sta combattendo l'ennesima battaglia di potere. C'é il sindaco Ignazio Marino asserragliato dentro Palazzo Senatorio mentre tutto dovrebbe indurlo a considerare seriamente l'ipotesi di dimettersi. E poi c'è il Pd, diviso tra la lotta per la sopravvivenza e le solite lotte intestine di potere.
Come leggere infatti la strenua difesa del sindaco da parte di Matteo Orfini, commissario del Pd di Roma, presidente dell'Assemblea Nazionale, insomma renziamo seppur della ultimissima ora? E come decifrare le dimissioni di Guido Improta e le annunciande di Silvia Scozzese?
Andiamo con ordine. Orfini, dunque. L'ex dalemiano cresciuto nella sezione di Pci Pds Ds di piazza Mazzini e che a D'Alema deve tutto, in nome della real politik ha ben compreso praticamente subito come fare: novello Bruto con nuovo Cesare ha accoltellato alle spalle il Lìder Massimo per abbracciare il verbo renziano. E questo perché in politica sopravvivere è la parola d'ordine. Ma Roma è Roma, e Orfini nella Capitale non è uno qualsiasi. Rancori, faide, storie personali finiscono tutte nello stesso calderone. Così nei circoli dannosi selezionati da Barca finiscono tutti quelli di Umberto Marroni, nemico storico di Mancini dopo la secessione dalemiana nella Capitale. Ci finiscono poi i circoli di quei moderati con Veltroni che confluirono nel Pd nel 2007 e che - molti di loro lungi dall'essere mai stati Dc o Ppi come Barca erroneamente lascia intendere - proprio con Marroni negli anni hanno stretto un'alleanza piuttosto solida. Nel Pd romano bisogna fare pulizia ed Eliminare gli Impresentabili, ma questi stanno solo da una parte?
Dietro la strenua difesa di Marino, si sussurra a Palazzo Senatorio, ci sarebbe l'ambizione degli orfiniani-manciniani di avviare un rimpasto di giunta che gli spianerebbe le porte per la conquista del partito capitolino è da lì avviare la creazione di una corrente nazionale fatta di ex comunisti nel perimetro del renzismo.
Lo stesso Renzi ha però rovinato i piani di Orfini. Scaricando il sindaco Marino, il premier ha di fatto sconfessato la teoria di Orfini, secondo il quale un sindaco incapace può restare al suo posto perché onesto. Teoria sconfessata del resto anche dalla regina del Giglio Magico, Maria Elena Boschi. Quadro generale: consiglieri comunali spiazzati, renziani anche, sindaco che di fare un passo indietro non ha alcuna intenzione. Ci sono volute 48 ore prima che si arrivasse a definire una strategia politica per mettere Marino alle corde. Il piano prevede le dimissioni dei due assessori cardine della giunta capitolina: Trasporti e Bilancio. Guido Improta ha giá annunciato l'addio il 29 giugno - la Coop di Buzzi non c'entra - con l'inutile inaugurazione della monca e inutile metro C. Meglio lasciare ora con pochi schizzi di fango addosso che magari a settembre, quando sul Campidoglio potrebbero piovere nuove inchieste, strascichi di Mafia Capitale e magari un precipitoso scioglimento del Comune per mafia che la stessa Boschi, benché remoto, non esclude.
Anche la Scozzese medita di lasciare. Quando? Dipende da Angelo Rughetti e Fabio Melilli. I due Dioscuri di Poggio Moiano, renziani, il primo sottosegretario e il secondo segretario regionale, difficilmente potranno ignorare il diktat renziano e non prendere le distanze da Marino, invitando la Scozzese a far ritorno in Anci, mondo di provenienza anche di Melilli e Rughetti. La posta in gioco del resto è alta: legarsi a Marino potrebbe dire andar a fondo con lui, un rischio che nessuno può permettersi soprattutto con l'Italicum. Se la Scozzese si dimetterà prima dell'assestamento di bilancio, cioè prima della pausa estiva, i conti di Roma Capitale finiranno commissariati, come il Giubileo. A quel punto Marino dovrà gettare la spugna, anche perché difficilmente riuscirà a trovare qualcuno con velleità di avere un futuro politico disposto a entrare in una giunta il cui sindaco tra sfiducia del partito e inchieste giudiziarie potrebbe cadere da un giorno all'altro. Quale sarà poi il futuro dei consiglieri comunali uscenti, beh, è presto per dirlo, ma da un Pd che non ricandidò nessuno dei consiglieri regionali uscenti dell'era Polverini e che oggi è chiamato a una dimostrazione di rinnovamento, pulizia e discontinuità meglio non aspettarsi clemenza.