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Roma
Coronavirus, case di riposo focolai: “15mila anziani ad alto rischio contagio”

di Federico Bosi

Nel Lazio è ufficiale: le oltre 250 case di riposo e le Rsa, Residenze sanitarie assistenziali, sono i nuovi focolai. “In tutta la Regione circa 15 mila anziani potrebbero aver già contratto il virus e nessuno se ne è accorto. Tutte le strutture sono, ora come ora, vere e proprie bombe ad orologeria pronte ad esplodere. Questo perché la Regione non ha fatto i tamponi”.

 

A sganciare la “bomba” è il vicepresidente dell'Anaste, l'Associazione Nazionale Strutture Terza Età, e presidente della sezione Lazio, il dottor Sebastiano Capurso.

Dottor Capurso, nel Lazio è emergenza contagi nelle case di riposo. I casi di Roma, Nerola, Fiuggi e Rieti ne sono la dimostrazione. Quante sono le strutture potenzialmente a rischio?

“Tutte le strutture sono a rischio, sia le case di riposo che le Rsa. Qui però va fatta una distinzione. Le case di riposo sono strutture sociali, dove risiedono pensionati o al massimo persone con qualche acciacco ma comunque autosufficienti, amministrate da un direttore amministrativo. Le Residenze sanitarie assistenziali sono invece strutture di impronta sanitaria, al cui interno lavorano medici ed infermieri. Mentre la seconda è una struttura in grado di prendere precauzioni per arginare un virus come il Covid-19, la prima non ne ha proprio i mezzi ed il personale. Una volta che il virus entra, in entrambi casi fa una strage, come appunto è successo negli ultimi giorni qui nel Lazio. Ora come ora tutte le strutture sono delle vere e proprie bombe ad orologeria, chi ha attivato da subito le procedure dell'ISS sta tentando di arginare il problema, gli altri sono e saranno travolti dal Coronavirus. Tornando ai numeri, le Rsa nel Lazio sono circa una cinquantina e tutte presenti in un elenco regionale. Il grosso problema viene con le case di riposo, settore dove regna l'abusivismo specialmente nei piccoli centri abitati. Non essendoci l'obbligo di passare per Regione e Asl, i Comuni spesso danno l'autorizzazione per aprire strutture non a norma con i nomi più bizzarri come case di riposo, case albergo, case per anziani. Questo avviene perché il Comune, pur di dare quei 3 o 4 posti di lavoro in più, sorvola sulle corrette regole da seguire. In ogni caso siamo sull'ordine delle diverse centinaia”.

Quanti sono gli anziani ricoverati nelle strutture nel Lazio?

“Un numero preciso non c'è, ma dalle nostre stime siamo intorno ai 15 mila anziani. Tutti potenzialmente potrebbero infettarsi. Un numero preciso al 100% appunto è impossibile da calcolare proprio a causa delle strutture abusive”.

Ci sono state disposizioni da parte di Regioni ed Asl che limitavano le visite di parenti per evitare contati con gli anziani chiusi nelle strutture?

“Sì, ci sono state ma non sono state rispettate. Il 4 marzo l'assessore D'Amato aveva sconsigliato ai parenti di recarsi in visita agli anziani nelle strutture per evitare contati a rischio. Poi sono arrivati anche atti nazionali, ma qui sono entrati in gioco proprio i familiari. Siccome pagano per poter lasciare in cura gli anziani, pretendevano di poterli vedere normalmente. Nelle Rsa in linea di massima non è stato permesso perché a gestire il tutto c'è un medico che sa perfettamente quale è la gravità del Coronavirus. Nella case di riposo invece, che sono amministrate da laureati in lettere o economia e quindi poco esperti di medicina, per paura di perdere i loro anziani hanno continuato a far visite su visite come se niente fosse. Ed è così che sono diventate dei focolai.

Sono state consegnate al personale che lavora nelle strutture guanti e mascherine per fronteggiare l'emergenza?

“Guardi oggi ne sono arrivate 60 dalla Regione e nei giorni scorsi siamo riusciti a recuperarne alcune dai nostri fornitori. Stiamo parlando di numeri microscopici rispetto a quante ne servirebbero realmente. Urgono mascherine.

Ora che le prime case di riposo sono state isolate, come si stanno comportando le altre? Avete richiesto tamponi per anziani e personale?

“Ovviamente abbiamo chiesto tampone per tutto il personale, ma come è facilmente intuibile non sono stati fatti. È un mese che li richiediamo a Regione ed Asl, ma niente. Anche se iniziassero a farli ora, oramai sarebbe tardi. Chi si è infettato al di fuori lo avrebbe potuto già attaccare ad anziani e colleghi delle strutture. Oramai il danno è fatto. In ogni caso i tamponi vanno fatti perché bisogna tutelare quelle persone al momento salve. La Regione sta facendo troppo poco”.

Quale è la soluzione per evitare di trasformare altre strutture in focolai?

“Bisogna isolarle tutte, Rsa e case di riposo. All'interno entra solo il personale necessario, che ha fatto tampone e misurato la febbre all'ingresso. Chi ha più di 37.5 torna a casa. Misure drastiche? Forse, ma così si salvaguardano le vite degli anziani, che sono quelli più a rischio. Bisogna individuare gli asintomatici ed isolarli. Il direttore di una casa di riposo non è in grado di rispettare le norme perché non ha le competenze mediche? Bene, interviene la Asl inviando personale fa le farà applicare. Solo così si può evitare il contagio di tutti”.

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