Roma
Coronavirus: medici di base mandati al macello senza mascherine né guanti
A Roma e nel Lazio il sindacato Snami dice no all'ordinanza regionale che manda i medici di base a fare i controlli in casa dei sospetti o dei guariti dal virus
Coronavirus, a Roma e nel Lazio la battaglia per contenere la diffusione e tenere sotto controllo i guariti si combatte a mani nude. Per i medici di base, zero mascherine, zero guanti, zero camici monouso e neanche l'ombra di un sistema di biocontenimento. E di tamponi neanche a parlarne: no ce ne sono.
Lo ha deciso la Regione Lazio con un'ordinanza datata 17 marzo, la numero Z00009 con la quale al punto 2 ordina ai Medici di Medicina Generale associati in Unità di cure Primarie (UCP) o i Pediatri di Libera Scelta associati in Unità di Cure Primarie Pediatriche (UCPP) di individuare un referente COVID il quale riceverà i DPI, in caso sia necessario provvedere a visita medica domiciliare”.
Nell'ordinanza non si fa menzione di nessun tipo di attrezzatura di protezione per coloro che dovrebbe girare di casa in casa e valutare se il paziente che ha richiesto la visita ha i sintomi tipici del Coronavirus. E tra i medici di base c'è chi non ha digerito l'ordine perentorio di Nicola Zingaretti e dell'assessore alla Sanità Alessio D'Amato perché la principale osservazione è quella di poter essere contagiato e di diventare involontariamente un veicolo di trasmissione del virus.
Insomma, la procedura messa in atto dalla Regione Lazio paradossalmente potrebbe essere un amplificatore del virus, poiché alcuni dei medici di base, avrebbero sotto il loro controllo bacini che vanno sino a 15 mila persone. Da lato del paziente, chi chiede l'intervento domiciliare del medico di base per “dubbio Coronavirus” non ha nessuna garanzia sulla possibilità che si alo stesso medico “un portatore”.
Spiega il dottor Giuseppe Di Donna, presidente regionali Snami Lazio (Sindacato nazionale autonomo medici italiani) secondo sindacato rappresentativo per numero di medici di medicina generale iscritti: “A livello nazionale è stato stabilito che dovevano essere create delle Unità assistenziali per supportare i medici di famiglia, dotando queste “Usca di attrezzature idonee e presidi di bio contenimento. Nel Lazio è stata data come ipotesi futuribile e questo è andato contro il disposto nazionale, mettendo in campo un medico per ogni Ucp costituite da gruppi di medici. Questo medico non è stato per ora indicato dalle Asl perché chiediamo norme di sicurezza e a questi medici non sappiamo che tipo di presidio. In alcune Asl, poi, ai medici di medicina generale sono stati distribuiti presidii insufficienti”.
Dottor Di Donna, qual è il bacino di pazienti per ciascun medico che dovrebbe girare di casa in casa?
“Nel Lazio, in alcuni realtà territoriali esistono Ucp costituite sino a 17 medici. Se deve essere individuato un unico referente il medico si potrebbe trovare nella situazione di dover visitare anche 17 mila persone. Considerate queste due situazioni e l'entità numerica, chiaramente noi abbiamo detto no: va contro il disposto nazionale In altre regioni come Friuli, Marche e Toscana e Piemonte e da ieri partiva l'ufficialità della funzione delle Usca (Unità speciali continuità assistenziale) mentre nel Lazio vorrebbero farla partire individuando un solo referente per visite a presunti infetti e o in dimissioni dagli ospedali”.
E la Regione Lazio?
“Non ha accolto nessuna delle nostre proposte”.