Roma

Coronavirus, oltre gli ospedali: ”Noi medici delle Asl a rischio contagio”

Il chirurgo del Poliambulatorio Asl Rm2, Domenico Rizzitelli, denuncia il trattamento riservato ai medici non ospedalieri dalla Regione Lazio

di Enza Colagrosso

Medici e infermieri “angeli delle corsie” in prima linea contro il demonio Coronavirus, in balìa della fortuna. “Ai pazienti che entrano nelle Asl per le visite mediche, ancora oggi, non viene richiesto alcun tampone. Misurare la febbre all'entrata non basta per tutelarci dal rischio contagio”. La denuncia arriva dal dottor Domenico Rizzitelli, chirurgo presso il Poliambulatorio ASL Roma 2 di Casalbertone.

Ad Affaritaliani.it, il medico spiega anche che quando gli operatori sanitari si infettano e si ammalano di Covid ma, fortunatamente, guariscono, non gli viene riconosciuto neanche un bonus, come avviene nel caso d’infortunio sul lavoro.

Dottor Rizzitelli, quali misure sono state prese per prevenire il Covid nel luogo dove svolge la sua attività, il Poliambulatorio della Asl Roma 2?

"Le scelte fatte sono state, a mio avviso, inadeguate. Durante la prima ondata di Covid per noi, come per la maggior parte degli operatori sanitari, la vera emergenza è stata la mancanza dei dispositivi personali. Non avevamo né mascherine né guanti. Ora, nella seconda ondata, mascherine e guanti stanno arrivando ma non sono sufficienti ad arginare la diffusione del virus semplicemente perché, nel momento in cui noi visitiamo un paziente, non possiamo chiedergli l’esito di un tampone. Oggi per entrare nel Poliambulatorio dove esercito, viene solamente misurata la febbre e così medici e infermieri, si trovano ogni volta esposti al rischio di contagio. D'altra parte, la Regione non si è mai espressa su questo tema e non ha mai scritto nessuna disposizione in proposito. Tutto, anzi molto, è stato lasciato all'organizzazione soggettiva".

Ci spieghi meglio. Quando un paziente arriva in Poliambulatorio, cosa gli viene chiesto?

"Praticamente nulla. Fino a poco tempo fa, addirittura, non c’erano nemmeno filtri all’entrata, e accedevano tanti pazienti, magari contemporaneamente, finendo poi accalcati nei corridoi. Ora invece li lasciano aspettare davanti al cancello d'entrata (esposti a qualsiasi clima) e ne fanno passare uno alla volta dopo avergli semplicemente misurato la febbre. Questo però, mi creda non basta, tant’è vero che i contagi sono stati, e sono tanti. Servirebbe, torno a ripeterlo, applicare l’obbligo del tampone che per ora è richiesto solo per l’erogazione di prestazioni particolari; quelle, per intenderci, riconosciute dalla Regione come prestazioni APA".

Secondo lei, se la richiesta del tampone negativo potrebbe diminuire il rischio della diffusione del virus, perché non viene fatta?

"Non le nascondo che, a mio avviso, siamo di fronte all'assurdo. Mentre a tutti i livelli si parla di prevenzione per cercare di arginare la diffusione del virus, nelle Asl serpeggia la logica della salvaguardia del numero degli accessi. Ho sentito più di una volta riflessioni su questo tema e non le nascondo che nella valutazione delle misure anti Covid molto spesso è stato tenuto in maggior conto il fatto che la richiesta di un tampone può rappresentare un deterrente per l’utente, sia per il costo di 22,00 euro sia per il tempo che questi deve impiegare per farlo".

Lei è stato fra quei medici che si sono ammalati di Covid ma fortunatamente sono guariti. Come viene gestito dall’amministrazione sanitaria il caso di contagio?

"Io, come tutti gli altri medici che sono risultati positivi e con sintomatologie più o meno importanti da Covid siamo stati inquadrati, durante la malattia, come lavoratori sotto “infortunio”. Ripreso il servizio però, pur presentando tutta la documentazione attestante il Covid non ci è stato riconosciuto nulla, perché “l’infortunio professionale” applicato al Covid serve esclusivamente a non intaccare la retribuzione, mentre se fossimo stati messi in malattia sarebbe stato penalizzato lo stipendio. Economicamente però non viene riconosciuto nulla adducendo come motivazione il fatto che non è in nessun modo dimostrabile che il contagio sia avvenuto durante la nostra attività lavorativa piuttosto che nel tempo libero. In pratica, per noi medici l’esserci infettati con il Covid è stato come prenderci un’influenza. Inoltre, va ricordato che dei bonus di cui si era sentito parlare, quelli che sarebbero dovuti servire a riconoscere il nostro operato durante la pandemia, in realtà non è mai arrivato nulla".

Sta dicendo che i medici non hanno ricevuto nessun bonus per il lavoro svolto durante la pandemia?

"Assolutamente no. Solo gli infermieri hanno ricevuto per il mese di marzo 2020 il famoso bonus da 100 euro. Va però chiarito che è stato assegnato in base alle ore lavorate e pertanto, la somma massima che è stata erogata è stata di 70/80 euro a chi è riuscito a lavorare più ore".