Roma

Coronavirus, Polillo: ”Da oggi l'Italia ha un'economia da tempo di guerra”

L'ex sottosegretario all'economia con Mario Monti, Gianfranco Polillo sul Coronavirus: “Sì al deficit, l'Italia dopo questa guerra non sarà più la stessa"

di Fabio Carosi

Coronavirus dal 10 aprile fa rima con coprifuoco ed economia di guerra. “Dobbiamo abituarci a questa guerra – sostiene Gianfranco Polillo, economista ed ex sottosegretario all'Economia del Governo Monti – e quando avremo sconfitto il male ci troveremo di fronte ad un mondo diverso. E cambierà anche l'Europa così come siamo stati abitati a vederla sino ad oggi”.

Polillo, cosa accadrà all'economia italiana? Deficit alle stelle? Recessione? Tempi duri?

“Le ultime misure prese con questa specie di coprifuoco sono necessarie e insisto – necessarie – e ci dicono che siamo entrati in guerra. Ed è l'economia che entra in guerra. C'è un obiettivo che è quello di vincere le varie battaglie e tutto il sistema economico viene orientato rispetto a questo fine e tutto passa in secondo piano. Mi auguro solo che questa guerra sia breve ma è difficile fare qualsiasi previsione, allo stesso tempo dobbiamo avere la capacità di prevedere ciò che accadrà. Per il deficit siamo passati in pochi giorni da 3,5 a 7 miliardi e siamo pronti ad aumentarlo e in in questo c'è una logica, dopodiché quando avremo sconfitto il male ci troveremo di fronte ad un mondo completamente diverso”.

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L'Italia di oggi non sarà più la stessa dopo il Coronavirus?

“Nella Seconda Guerra, l'Italia entrò da Paese agricolo e ne uscì industriale. Questa trasformazione in questo momento non è prevista perché la guerra costringe a produrre beni di guerra. L'unica cosa che possiamo fare è potenziare il Servizio Sanitario sanitario per evitare le vittime, L'esperienza storica ci dice che quando finisce la guerra ci sono energie tali da cambiare il Paese. Avverrà anche questa volta ci troveremo di fronte a una realtà diversa, ma forti dell'esperienza avremo la forza per imporre i cambiamenti, che non siamo riusciti a imporre nel passato”. A quali cambiamenti si riferisce? “Il primo cambiamento è l'Europa che così non può reggere. Ha capacità produttive e non le ha utilizzate, ha risorse e non le ha utilizzate. Germania e Francia hanno imposto un Europa sui propri interessi ma non possiamo più essere un continente con basso tasso di crescita che esporta mld di euro. Fin da adesso si sta pensando ai rimedi: eurbond, safety bond, ma insomma la capacità di avere un ruolo più propulsivo degli organismi comunitari in termini di sviluppo e coesione ci deve essere. Il grande sogno è diventato un matrimonio di convenienza. Se non vogliamo sfasciare l'Europa c'è bisogno di un salto di qualità”.

In termini reali come cambierà la vita di noi italiani?

“Se entriamo nella logica dell'economia di guerra, l'esperienza ci ha insegnato che dopo il periodo di adattamento ci sarà uno slancio. Io sono ottimista, passata la tempesta ci sarà la possibilità di risorgere. L'importante è che la guerra sia breve. Se la gente segue le indicazioni della scienza e il fronte interno tiene a fine guerra si aprirà la ri-costruzione che non sarà materiale, ma civile. Da questo deve nascere la consapevolezza che questo è un momento difficile ma c'è la possibilità di una ripresa su basi diverse”.

Le misure del Governo Conte sono sufficienti?

“Non lo sono e saranno implementate con l'evoluzione della situazione. Noi dobbiamo spendere i soldi che siamo in grado di spendere. Arriveremo a 30 miliardi, saranno 20 o 15, tutto è legato al decorso della crisi. Se finisce domani le somme sono sufficienti. Se finisce tra un anno ce ne vorranno 40-45. Ora bisogna tranquillizzare l'opinione pubblica per dire che vinceremo la guerra. Non si saranno altre regole contabili assurde”.

Chi ci guadagna nell'economia di guerra?

“Molti ci perdono ma questo è inevitabile. La guerra comporta anche cambiamenti di classi dirigenti. E' un divenire storico. Oggi il punto più alto dell'etica è vincere questa guerra, tutto il resto viene dopo. Se non riusciamo a vincere stiamo parlando di un'ecatombe al livello mondiale. Lo Stato si farà carico di tutti coloro che perdono il lavoro, delle imprese in crisi, di chi non ha un reddito fisso. Se un negozio chiude un mese è un conto, un anno è un'altra cosa”.

Lavorare ad agosto è una strada praticabile?

“Ad agosto non si ferma il mondo, chi va in ferie porta i soldi in un'altra zona del territorio e i posti di villeggiatura non chiudono. Va però valutata, può essere una delle misure da prendere. Alla fine della II Guerra avevamo un rapporto debito/pil del 150%; dopo la guerra è stato il più basso della storia. Abbiamo rimediato tutto. Arriveremo al 150% ma una volta finita saremo in grado di ridurre. Sarà un percorso molto più facile se c'è un contributo dell'Europa ma dobbiamo solo iniziare a ragionarci e discutere. Voltiamo pagina ma la discussione deve iniziare subito”