Roma

Coronavirus e smart working: i comunali di Roma superano gli esami efficienza

L'analisi di Cristina Grancio sullo smart working. “Sulla giustizia due pesi e due misure: si licenziano giardinieri, si difende il presidente dell'Assemblea”

di Cristina Grancio *

Nel fare gli auguri anticipatamente per la prossima Pasqua, vorrei affrontare un argomento che per la Pubblica Amministrazione è sostanzialmente sempre stato un tabù: lo smart working, in italiano, il lavoro agile.

L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha obbligato i datori di lavoro a rinunciare alla presenza fisica dei propri dipendenti al fin di garantire loro la salute e la sicurezza limitando quindi gli spostamenti e la socialità per evitare il rischio diffusione Covid-19. Questa forzata rinuncia, più che in altri comparti, per la P.A. assume un significato particolare, infatti, se non fosse stato per il decreto legge l’amministrazione pubblica non avrebbe forse mai rinunciato a quell’esercizio dell’autorità e controllo da parte dei capi sui propri sottoposti.

L’atavica mancanza di fiducia nel dipendente pubblico,  svogliato accompagnato dal principio del mai fare oggi quello che si può fare domani, ha avuto invece in questi giorni, alla prova dei fatti, una sorpresa che nessuno, ancorato ai luoghi comuni si sarebbe aspettato. Solo, infatti, chi lavora nella pubblica amministrazione ben conosce le problematiche legate alla necessità dei vertici di esercitare il potere mediante un controllo che rende fantozziano il dipendente. 

In queste settimane durante lo svolgimento delle commissioni capitoline dedicate ad una verifica degli effetti sulla produttività dello smart working, gli esaminandi hanno superato egregiamente il test. I dipendenti comunali ristretti forzatamente a casa hanno avuto la possibilità di dimostrare capacità ed efficienza nell’organizzarsi il lavoro e questa libertà di manovra non solo li ha resi più responsabili, ma anche più efficienti, col risultato di saper evadere una quantità di lavoro mai vista prima.

Questo risultato induce a delle riflessioni sui luoghi comuni per cui si vuole associare alla figura del dipendente pubblico quella del soggetto incapace di fornire un servizio all'altezza di quello privato.

Forse è più opportuno pensare che questa necessità di far apparire più efficiente il privato rispetto al pubblico passa in realtà attraverso la volontà dei vertici delle varie pubbliche amministrazioni di non rendere produttiva la propria forze lavoro “esaltandone” l'incompetenza piuttosto che la preparazione, soffocando la volontà e non ultimo l'onestà dei dipendenti, proprio a favore di quei pochi che  invece si mettono al servizio del potere.  Si pensi alla sanità, all’immagine comune che veniva filtrata dell’inefficienza del sistema sanitario, prima del COVID-19, agli appuntamenti per gli esami medici lontani nel tempo, ricorrente era la proiezione di un’immagine di un servizio inefficiente che invitava alla privatizzazione.

La macchina goffa ed incapace della pubblica amministrazione forse è comoda a quei vertici della pubblica amministrazione sensibili ai diversi poteri, che necessitano di un servizio pubblico non efficiente per favorire l’iniziativa privata di altri.

Sui quotidiani  nelle pagine della cronaca di Roma, ieri, veniva riportata una notizia che mi accingo a richiamare in breve che evidenzia un episodio che merita la nostra attenzione esemplificativa sulle conseguenze di come certe condotte si riverberino pesantemente sui comportamenti della stessa amministrazione  nei confronti dei sottoposti minando la fiducia nel datore di lavoro. La Procura ha chiesto il rinvio a giudizio per alcuni dipendenti al servizio del Comune di Roma su cui il Campidoglio, lo scorso novembre, come riportato dai giornali, aveva proceduto al loro licenziamento perché allora indagati per truffa e peculato.  Licenziati, si badi bene, non sospesi dal lavoro. Si è scelta la linea dura, benissimo. Così operando la testa dell’amministrazione capitolina sembra essere bicefala: da un lato adopera la mannaia giustizialista con i suoi dipendenti, dall’altro è incapace di revocare un mero incarico politico quale la presidenza dell’assemblea capitolina, al Presidente dell’Aula Giulio Cesare, prima arrestato ed indagato, ora imputato per corruzione in uno dei filoni di inchiesta dello stadio, reato più grave - per il ruolo ricoperto dal suo autore all’interno della p.a. - del reato di truffa e/o peculato del impiegato dell’ufficio giardini. Quale è il significato che ne dobbiamo trarre? Come ragiona la testa bicefala del Campidoglio? Come si può chiedere lealtà e dedizione agli ultimi quando un sindaco e la sua maggioranza lasciano al loro vertice un imputato per reati gravi e “puniscono” con la pena massima, il licenziamento, chi è solo indagato. La presunzione di innocenza vale solo per i forti?

Gli “ultimi” dell'amministratore hanno invece dimostrato in questi giorni più onesta, competenza ed attaccamento al lavoro di chi si è presentato al grido di “onestà onestà” ma non ha fatto altro che accomodarsi sulla poltrona affinché tutto cambiasse per non cambiare nulla ed il dipendente pubblico restasse nell'immaginario collettivo il mitico tragico Fantozzi.

* Cristina Grancio, consigliere DemA Gruppo misto