Cosa Nostra, Camorra, ’Ndrangheta: a Roma regnano le mafie
Attivi 70 clan e 23 organizzazioni dedite al narcotraffico
Nella provincia e nella città di Roma operano circa 70 clan mafiosi, 23 invece sono le organizzazioni dedite al narcotraffico, nei diversi quartieri che compongono il territorio capitolino. A Roma sono significativamente attive e con un ampio potenziale criminale, le mafie cosiddette “tradizionali” (‘ndrangheta, camorra e Cosa nostra) sintetizzate con la definizione di “Mafie a Roma”. È quanto emerge dal rapporto 'Mafie nel Lazio', pubblicazione curata dall'Osservatorio tecnico-scientifico per la sicurezza e la legalità della regione Lazio in collaborazione con l'associazione “Libera”, presentato oggi alla presenza del presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti, del Coordinatore della Dda Procuratore Aggiunto, Michele Prestipino, del Comandante dei Carabinieri Lazio Generale, Angelo Agovino, del Capo del secondo reparto della Dia, Maurizio Calvino e di Gianpiero Cioffredi, Presidente dell’Osservatorio per la Sicurezza e la Legalità della Regione Lazio.
Diversamente dalla maggior parte delle regioni non a tradizionale presenza mafiosa, la Capitale ha generato e sviluppato organizzazioni criminali autoctone, che nel Rapporto sono state denominate come “Mafie e organizzazioni criminali di Roma”, suddivisibili in gruppi mafiosi di derivazione “tradizionale” e altri “originari e originali”: tutte presentano caratteristiche simili al tessuto socio-economico che le ha generate. Queste diverse organizzazioni criminali si misurano e spesso integrano con altri due fattori, non secondari: da un lato la cosiddetta “malavita romana” (killer professionisti, pusher, rapinatori, gruppi criminali stranieri, criminali di strada) e dall’altro con un ampio sistema di reti di corruzione che attraversa diversi segmenti del tessuto socio-economico romano. Come illustrato nel paragrafo di analisi intitolato «Uno scenario criminale complesso», contenuto nel Rapporto, la “pax mafiosa”, nata negli anni Ottanta è sopravvissuta sino ad oggi, attraversando cambiamenti economico-sociali, ristrutturazioni interne dei vertici delle proiezioni mafiose sul territorio laziale e affrontando la stabilizzazione di cosche nella Capitale perché - spiega ancora il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone - "a Roma ci sono soldi per tutti e non c'è bisogno di uccidere; Roma non è una città in mano alla mafia ma sono presenti varie organizzazioni di tipo mafioso. E’ una città troppo grande per una sola organizzazione criminale di questo tipo e quindi si impone una convivenza pacifica".
Ciascuna organizzazione criminale, colpita da arresti, sequestri di beni e indagini patrimoniali nelle regioni d’origine, ha individuato nel mercato romano, già alcuni decenni, la migliore “piazza” per gli affari. In un contesto economico così ampio e variegato, in cui operano già altre “imprese criminali” che commettono diversi reati di natura economica, i capitali mafiosi possono muoversi, mescolandosi e confondendosi, con minore probabilità di essere rintracciati. A Roma, dunque, c’è spazio per tutti a patto che si segua la logica della convenienza. E’ inoltre possibile affermare - si legge nel rapporto - che le mafie tradizionali presenti nella Capitale, siano principali garanti di questa sorta di “pace armata” fra i gruppi criminali e i clan e che intervengano per risolvere eventuali conflitti, con un occhio alla rapida ascesa delle mafie autoctone. Queste ultime, le “mafie di Roma”, sono consapevoli della diversa storia criminale di ‘ndrangheta, camorra e Cosa nostra ma non assumono nei confronti dei boss una posizione subalterna, da quel che emerge nelle inchieste. L’aver convissuto, gomito a gomito, con questi clan, al contrario, ha generato una sorta di mutazione genetica delle organizzazioni romane, che con un “effetto contagio” avrebbero acquisito il modus operandi delle mafie tradizionali. L’effetto contagio ha prodotto delle conseguenze dirette nelle aree in cui le mafie e le organizzazioni criminali autoctone, insieme ad altre mafie, sono presenti attraverso le “piazze chiuse dello spaccio”.
In queste aree, collocate principalmente in periferia, si rileva un controllo delle principali vie del quartiere. Nei quartieri di San Basilio, Tor Bella Monaca, la Romanina e del litorale di Ostia, per citare le ultime aree colpite da indagini della magistratura, alla luce di questo contagio del modus operandi mafioso, si rintraccia un sistema di controllo che fa capo alle mafie e delle organizzazioni di Roma. Nella più ampia area della Capitale invece sino ad oggi non è stato riscontrata una generale suddivisione del territorio da parte delle mafie tradizionali, né una ripartizione, per aree, degli interessi criminali con il tradizionale controllo territoriale. Come riportato graficamente nella mappa che rappresenta "Le mafie nella Capitale”, dunque, è possibile articolare e circoscrivere per quartieri la presenza delle organizzazioni criminali dedite al narcotraffico soltanto in relazione alla superficie della città. Nella “pancia” della Capitale, invece, i diversi interessi criminali si mischiano, sovrappongono, rafforzano e muovono, trasversalmente all’interno dei principali settori economici (fra gli altri: ristorazione, commercio, imprenditoria, gioco d’azzardo, smaltimento illecito di rifiuti e illegalità ambientali) come già anticipato, dando vita a uno "scenario criminale complesso" la cui analisi è ancora in corso.
Il rapporto con il mondo dell’imprenditoria, in particolare, rappresenta per le mafie a Roma una piattaforma con effetto moltiplicatore. Il “potere di relazione” che le mafie possono esercitare sul tessuto economico e sociale romano è particolarmente vantaggioso per la quantità e la qualità di questi contatti: un investimento nella Capitale ne genera in maniera circolare molti altri, un affare apre a reti di conoscenze professionali, un politico è a sua volta in relazione, con segmenti dell’economia, della finanza e delle pubbliche amministrazioni, anche nazionali. Questo scenario criminale complesso convive, infine, sullo stesso territorio con altri due fattori: quello della “malavita romana”, fatto di criminali qualificati e con una storia locale riconosciuta nella città, in grado di esercitare violenza, intimidire, commettere reati, che si muove nella città facendo sentire la sua presenza, usando un proprio linguaggio (gambizzazioni, attentati e incendi sono la cartina di tornasole di una “guerra a bassa intensità” che si sviluppa nel “mondo di sotto”, che vive in osmosi con il sistema criminale della Capitale).