Roma
"Cracco il furbo, vende l'anima al diavolo". Don Pasta: "Sora Lella è la vera cucina"
"Spogliata, tradita, violentata, la cucina italiana è sotto attacco, complice facce furbe come quella di Carlo Cracco che in programmi come Master Chef ne uccide l'anima con tecniche di cucina globalizzanti". Non usa mezzi termini Don Pasta, al secolo Daniele de Michele, economista di origini salentine ma divenuto un vero e proprio chef della controcultura, o come ama definirsi, un attivista del cibo. Scoperto prima ancora dai cultori della cucina del NewYork Times, Don Pasta si è fatto strada e dopo avere lanciato nel 2004 il suo "Food sound Sistem" e nel 2013 "Artusi Remix" il suo canale online di ricerca della cultura della cucina tradizionale, arriva a Roma a Villa Pamphili con la sua "Ode alla cucina romana".
Chef, lei parte da un concetto, "Se magni bene nun mori mai", come sta la cucina italiana?
"Non tanto bene, ma la cultura tradizionale non si è persa nonostante gli attachi delle tecniche di cucina globalizzate. Ma in Italia impera una cultura gastronomica democratica".
In che senso sotto attacco?
"Programmi come quelli che ha portato Carlo Cracco vogliono sostituire il linguaggio culturale italiano in quello che è la nostra bandiera. Lui è un professionista furbo, ma che ha venduto l'anima al diavolo. La cucina ha un suo codice ma lui sostituisce la conoscenza con precetti di alta cucina che sono in conflitto con la salvaguardia di quello che è il nostro patrimonio. Una cucina spiegata dall'alto che rompe la cultura del sapere condiviso".
Nel suo viaggio attraverso l'Italia, da cosa è rimasto stupito?
"La cucina italiana è basata sull'intuizione di un popolo che riusava le frattaglie, sull'intelligenza della gente comune: l'arte di saper creare piatti gustosissimi partendo da pochi ingredienti, a volte poverissimi. Ci vuole una grande fantasia per inventare con poco molti gusti, creando un vero e proprio rito del cibo. Un esempio, il baccalà, un piatto che ritroviamo in ogni parte d'Italia scandito in ricette sempre diverse a seconda dei territori. Poi l'uso del grasso, della sugna, che non fa male quando abbiamo compreso il rapporto con il cibo. E allora mangiamo anche grasso ma abbinato ad uno stile di vita consapevole".
Se le dovessi chiedere tre capisaldi della cucina romana?
"La Sora Lella e Aldo Fabrizi, che per me sono inscindibili. Poi senz'altro Pommidoro e Piterno che ha salvato la tradizione del carciofo alla giudea dei Ghetto Ebraico. Queste il mio pantheon, figure mitiche che sapevano creare grandi piatti infarciti di cultura"
Lo spettacolo che Don Pasta porta sabato 18 luglio a Villa Pamphili racconta di questo suo viaggio nella cucina di otto romani nelle borgate di San Lorenzo, Testaccio, San Basilio, San Giovanni e Acilia. Cinque nonne, un oste importante come Pommidoro, e due ragazzi, una cuoca e un contadino che hanno cucinato per lui la trippa, la Coda alla Vaccinara, la carbonara, la gricia, la cicoria e raccontato la loro Roma.
Una istallazione multimediale su tre schermi con due vj e un dj che remixano tutto dal vivo per creare un documentario su Roma si sviluppa sia dal punto di vista musicale che da quello del video e della grafica. Il filmato è continuamente interrotto dalle incursioni teatrali di Donpasta mentre cucina e da Adriano Bono con i suoi stornelli ispirati alle poesie di Belli.