Roma
Crisi dei giornali, edicole condannate a morte: 1200 famiglie senza lavoro
A Roma dei 1200 chioschi di giornali ne sono rimasti 750. Gli impianti non li vogliono neanche i cinesi
di Fabio Carosi
Mille e duecento famiglie romane senza lavoro perché condannate dalla crisi dell'editoria che ha dimezzato in 10 anni il numero delle copie di quotidiani venduti, passati da 5,5 milioni di copie al giorno a 2,5 milioni di copie. Per le edicole dei giornali la crisi economica è nerissima.
L'ennesimo allarme inascoltato dalla politica arriva dal Sinagi, il sindacato che riunisce la maggioranza dei proprietari dei chioschi al lato delle strade o nelle piazze. Spiega Enrico Iannelli, segretario provinciale: “Solo nell'area del Comune di Roma nel 2008 c'erano 1050 punti vendita di giornali, quelli che la legge definisce in “via esclusiva”. Nel 2018 siamo arrivati a circa 750/780 che fanno fatica ad arrivare a fine mese e la conseguente perdita di valore del chioschi. Quello che un tempo valeva anche 200 mila euro oggi è arrivato a 20 e neanche si riesce a vendere, perché tra digitalizzazione dell'informazione e perdita di appeal dei punti vendita, ora quei chioschi non interessano neanche ai cinesi”.
Nella sede del sindacato di via Gregorio VII c'è una bacheca stracolma di offerte di vendita: cartelli che sono lì da mesi e che nessuno ormai legge. “Io ho un'edicola a Torre Angela – continua Iannelli – e dopo averla messa in vendita a 20 mila euro adesso la tolgo perché altrimenti devo pagare la tassa di occupazione di suolo pubblico anche se è chiusa”.
Quella delle edicole è una storia tutta italiana. Cresciute come funghi nel periodo d'oro in cui si vendevano i giornali di carta, sono di fatto condannate all'estinzione da una serie di leggi che ne hanno vincolato l'uso e la localizzazione, nonostante il commercio sia un settore liberalizzato. Il Comune ne controlla il numero con il sistema dei bandi vincolati; il Comune le spreme facendo pagare una tassa di occupazione di suolo pubblico e l'Imu come se fosse un immobile privato, come insomma una casa, ma mantiene il diritto alla chiusura immediata per diversi motivi, tra cui anche la necessità di scavi sui marciapiedi. Insomma chi ha acquistato un chiosco, può vedersi ritirare la concessione in un qualsiasi momento, senza avere diritto a una nuova porzione di terreno pubblico.
I proprietari dei chioschi che hanno resistito alla morìa sono due anni che inseguono soluzioni di diversificazione che la politica del “Non fare” tiene nel cassetto. Nei cassetti del Campidoglio ci sono decine di richieste di autorizzazioni per poter utilizzare una minima parte delle vetrine dei chioschi alla pubblicità ma il cambio della guardia da Marino a Raggi non ha modificato l'atteggiamento: “Siamo stati ricevuti dal presidente della Commissione Commercio Andrea Coia – continua Iannelli - che ha raccolto le nostre problematiche e poi più nulla. Così come è ferma dal 2015 alla Regione Lazio la proposta di legge sul testo Unico del Commercio nella quale si prevede che presso i chioschi possano essere venduti altri prodotti in modo da ampliare le possibilità commerciali dei chioschi”.
Insomma, l'unico modo per salvare la rete dei chioschi e restituire il lavoro a 1200 famiglie è quello di trasformare i luoghi in cui si vendevano i giornali in veri e propri centri servizi per il cittadino, ampliando le opportunità commerciali sino a diventare poli culturali dove trovare quotidiani, ricariche telefoniche, pagamento delle bollette e, come già accade a Firenze, addirittura i certificati anagrafici on line. Gli edicolanti si sono già mossi e, spinti dalla crisi, hanno presentato un progetto che si chiama Rete edicole per dare nuova vita ai chioschi, attraverso un network integrato di servizi che arriva addirittura alla possibilità di realizzare sondaggi in tempo reale sfruttando il principi di prossimità. Per ora il progetto ha partorito una webradio. Ma il nodo è sempre lo stesso: gli edicolanti provati dalla storia del tradizionale mercato dei quotidiani si sono ingegnati per sopravvivere; la politica invece è sempre più paralizzata. Si è mossa solo l'Anci che però non è andata oltre la firma di un protocollo con la Federazione editori giornali per trasformare l'edicola in un centro servizio. Ma un protocollo d'intesa non fa posti di lavoro.
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