Roma
Dal carcere al lavoro, la sfida di Made in Jail: "Dal Campidoglio zero aiuti"
Riabilitare i detenuti e dar loro una nuova possibilità. Made in Jail da 36 anni fa questo: "Ma le Amministrazioni ci remano contro"
Riabilitare i detenuti e dar loro una nuova possibilità. Da 36 anni la missione di Made in Jail è esattamente questa. Dare lavoro e opportunità a chi ha sbagliato ed è finito in carcere. Una battaglia nata come un'idea e diventata una realtà sociale come poche in Italia.
A guidare la “banda” è Silvio Palermo, ex brigatista rosso, che oggi dedica tutto il suo tempo a insegnare e a combattere contro le istituzioni che troppo spesso ignorano il mondo della riabilitazione dopo il carcere. "Made in Jail nasce come idea e si realizza come associazione nel 1983 dietro le mura del carcere romano di Rebibbia da un gruppo di detenuti che, durante il loro soggiorno all’interno del carcere – spiega Silvio mentre sistema le maglie appena fatte negli scatoloni - decidono e trovano il modo di esprimere arte attraverso la serigrafia e la stampa di magliette, con scritte, immagini e disegni, ritrovando così con l’impegno e la passione, una volta scontata la pena, il reinserimento di questo gruppo nella società e nel mondo”.
La storia
Così, verso la fine degli anni 80, una volta in libertà, questo gruppo di ex-detenuti crea la Cooperativa che darà vita ad un vero e proprio movimento che lavorerà dentro e fuori degli Istituti Penitenziari italiani e che cambieranno la vita di tanti, attraverso la rieducazione al lavoro, formazione professionale e culturale di chi sta scontando una pena o di chi l’ha già scontata. Ora, Made in Jail pone i suoi obiettivi nell’espansione e con questo la creazione di più posti di lavoro per detenuti ed ex-detenuti che desiderano avere un’opportunità e uno spazio nel mondo.nata nel 1988 nasce dalla precedente esperienza del 1983, quando un gruppo di reclusi di Rebibbia, decide per la prima volta in Italia, di organizzare il proprio percorso di reinserimento e di prospettiva lavorativa in forma culturale ed artistica prima della fine della detenzione. Questa prima esperienza pienamente realizzata e prima in Italia, ha aperto una nuova prospettiva di reinserimento per migliaia di detenuti ed ex detenuti. A spiegare questo mondo è Silvio Palermo, fondatore della cooperativa e motore di questa realtà che crea pezzi d'arte su maglie, felpe e tessuti
Che attività svolgete?
“Commercializziamo le maglie realizzate dai detenuti che vengono formati direttamente nelle case circondariali. Per oltre 34 anni ha organizzato corsi di formazione in serigrafia in vari istituti penitenziari, il minorile di Casal del Marmo, la terza casa circondariale di Rebibbia, il minorile di Quartuccio a Cagliari e Villa Andreini a La Spezia”.
Perché parla di difficoltà con le Amministrazioni?
“Purtroppo nel nostro cammino abbiamo trovato pochi aiuti e tanti ostacoli. A partire proprio dal laboratorio. Abbiamo dovuto combattere per anni per ottenere uno spazio, sequestrato dallo Stato alla malavita, quando dovrebbe essere una cosa automatica quando si tratta di riabilitare i detenuti. Lo dice la Costituazione, non io. E invece scopriamo che a Roma ci sono circa 1500 immobili tolti alle mafie e mai rimessi in uso per scopi sociali. Perché? Forse aiutare i detenuti non è di moda, fatto sta che il Comune è immobile e negozi, ville e appartamenti requisti restano senza un assegnatario. Sfitti. Vuoti. Assurdo, no?”.
Made in Jail ha un logo particolare, come lo avete creato?
"Non lo abbiamo fatto noi, ma Oliviero Toscani. Abbiamo contattato il più grande fotografo italiano, che al tempo curava le campagne pubblicitarie di Benetton, e lui si è reso disponibile: è il segno dei mesi che spesso si trova sui muri delle celle. Un calendario ante litteram che è diventato il nostro segno distintivo”.
Cosa vorreste?
“Non siamo aiutati anzi, siamo ostacolati nel veicolare il nostro messaggio di speranza e di lavoro. Basti pensare che avevamo provato a chiedere una postazione per vendere le nostre magliette a piazza Navona, durante la festa della Befana. Il Comune aveva riaperto i bandi e abbiamo partecipato: ci è stato detto che non erano previsti spazi per le cooperative sociali. Abbiamo detto grazie ma non dimentichiamo. A noi ci cercano durante le campagne elettorali perché facciamo comodo, poi tutti spariscono e rimaniamo soli a lottare giorno dopo giorno per non far morire un sogno”.
Il suo sogno?
“Siamo in prossimità del Giubileo, per noi sarebbe vitare avere uno spazio per poter commercializzare le maglie fatti dai carcerati ai pellegrini. Abbiamo fatto decine di richieste, al momento nessuno ha risposto. Speriamo bene...”