Roma
De Ficchy: Mafia Capitale non risolve tutto. La Camorra investe ancora a Roma
La mafia è anche infiltrazione negli appalti e nello sviluppo economico di una città
di Valentina Renzopaoli
Mafia Capitale non mette il punto al dilagare della criminalità a Roma e nel Lazio: la corruzione è diventata sistema, così come lo era prima del '92 e di Mani Pulite. E questo accade anche perché la giustizia non funziona: i contenziosi aperti sono un numero esagerato, il sistema giuridico prevede troppi passaggi e le risorse sono sempre meno.
Non usa mezzi termini il procuratore della Repubblica di Perugia Luigi De Ficchy: chiaro, diretto e schietto come sempre, il magistrato ha tracciato un quadro preciso e impietoso del sistema giuridico italiano e della diffusione della criminalità che caratterizza il territorio romano e, in particolare il litorale. Invitato dalla Fondazione Foedus ad un incontro di riflessione sulla giustizia e la corruzione in Italia, insieme al presidente Mario Baccini, De Ficchy, per oltre trent'anni sostituto procuratore a piazzale Clodio, e per altri sedici presso la Procura nazionale Antimafia, ha parlato del maxi processo in corso per Mafia Capitale.
“E' assolutamente corretto parlare di “mafia”. A mio giudizio la mafia è anche questo: infiltrazione negli appalti e nello sviluppo economico di una città. Controllo degli appalti, delle licenze, delle autorizzazioni, infiltrazione nelle attività che rendono di più e che meno possono essere soggette alla repressione. Un sistema di controllo e corruzione che inquina totalmente un territorio”.
Coerente con la sua posizione, secondo la quale, da mezzo secolo a Roma organizzazioni criminali originarie di altri territori investono su Roma, De Ficchy ha parlato di una presenza ancora oggi di 'Ndrangheta, Cosa Nostra e Camorra: “Non ci illudiamo che Mafia Capitale metta improvvisamente il punto a questo situazione. E' un passaggio importante ma troppo c'è ancora da lavorare”.
Il magistrato non si è tirato indietro nemmeno quando gli è stato chiesto un commento sulla sentenza della Corte d'Appello che ha ribaltato la decisione dei giudici di primo grado del processo Fasciani, escludendo l'aggravante mafiosa per i clan di Ostia. “Il giudizio di Appello è un giudizio cartolare e a volte, secondo me, non riesce ad essere aderente alla realtà”, ha detto De Ficchy. “Questo decisioni sono il frutto di un'arretratezza giuridica: si pensa ancora oggi che la mafia deve controllare totalmente un territorio e non basta che invece controlli gli affari di quel territorio. Un concetto secondo il quale il paradigma Palermo debba essere riprodotto in tutte le città e se proprio non c'è il controllo casa per casa, quartiere per quartiere, l'aggravante mafiosa non viene riconosciuta. Io, con la mia “tara” del pm, la penso diversamente. Se non la vogliamo chiamare mafia va bene, ma che si sappia che su certi territori esiste un sistema di corruzione, intimidazione, omertà che man mano si infiltra nel territorio e tornare indietro è difficilissimo, ci vogliono anni”, ha spiegato.
Ma cosa non funziona nel nostro sistema giudiziario? “Cinque milioni di processi civili e tre milioni di processi penali non è in grado di reggerli nessuno Stato: il numero imponente di procedimenti è dovuto, in parte, al carattere litigioso degli italiani e al fatto che sulla magistratura si riversa tutto ciò che non funziona, anche quello che sarebbe di competenza della pubblica amministrazione. Ma credo che il fattore principale sia il sistema che è stato disegnato, che mischia sistema accusatorio e inquisitorio e lo diluisce fino all'esasperazione. Un sistema che prevede una miriade di riti, una sequela di impugnative, mille possibilità di giudizi che vanno avanti indefinitivamente e non permettono di arrivare mai alla fine. Il risultato è che in Italia non si sa mai se una persona è realmente colpevole o realmente innocente e non si sa mai chi ha ragione e chi ha torto. In questa maniera viene meno anche l'autorevolezza della magistratura”.
Durante l'incontro, il presidente della Fondazione Foedus Mario Baccini ha annunciato la prossima creazione di una emanazione della Foedus: la Fondazione per il Litorale Laziale a cui saranno chiamate a partecipare tutte le istituzioni private e pubbliche. “La Fondazione avrà la finalità di sostenere le amministrazioni a raggiungere i loro obiettivi”, ha spiegato Baccini. “Rendere impermeabili alla criminalità le nostre strutture pubbliche e la cultura delle coscienze è fondamentale. E per arrivare al punto di non ritorno è necessario che i cittadini siano consapevoli. Questi incontri sono il seme per contribuire a creare e migliorare il nostro modo di pensare. Uno dei nostri obiettivi è aiutare a sedimentare una presa di coscienza: se il sistema da solo non ce la fa, ciascuno di noi deve fare qualcosa in più e individuare nella comunità chi può rappresentarci al meglio.