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Roma
Debiti e “recupero crediti”, la corda che strangola l'Italia. Viaggio nel buio

di Patrizio J. Macci


Otto ore trascorse in un ufficio recupero crediti della Capitale tra interessi e percentuali che devono trasformarsi in soldi. Il processo dei numeri che ridiventano cartamoneta dopo essersi incagliati nelle vite delle persone. Chiunque compra un bene a rate e poi non lo paga è destinato a diventare un numero che transita qui dentro. Non si fanno differenze di classe, è la democrazia del Capitalismo. Impiegati, liberi professionisti, operai, sono tutti composti e silenziosi.


Lo studio è un appartamento anonimo in un palazzone in un quartiere a nord della Capitale immerso nel verde. Inutile cercarlo su google maps o sull’elenco telefonico. La targhetta sul citofono scintillante incastonato nell’intonaco sbiadito recita: “Avvocati e servizi legali”, più la sigla in acronimo dell’azienda.

L'inferno del consumo sfrenato
Se questo fosse un pronto soccorso si potrebbe dire che qui entrano i codici bianchi e quelli verdi, un purgatorio economico dove c’è ancora spazio per essere riammessi nel paradiso del consumo sfrenato.
Una perfida nemesi l’ha collocato in un cortocircuito della toponomastica, a meno di un chilometro dal carcere di Rebibbia tra via Carlo Marx e via Hegel. Strozzato tra l’autore de Il Capitale e il padre dell’idealismo storico. Per capire che aria tira nel Paese bisogna visitare un ospedale, un ufficio pubblico e un’azienda che insegue chi ha chiesto di essere finanziato e poi ha smesso di onorare il proprio debito. Per capire chi non paga cosa. In Italia ce ne sono più di seicento, la Questura vigila discretamente sulle loro attività; non si accettano deragliamenti da quanto stabilito in punta di codice civile.
Si lavorano 40.000 pratiche scansionate al microscopio ogni anno, con la consapevolezza che in Italia due milioni di persone non sono anagraficamente rintracciabili e che su venti milioni di famiglie italiane solo otto sono finanziabili. Gli attori sul palcoscenico di questo teatro sono tre e recitano sempre lo stesso copione: l’acquirente, il venditore e il finanziatore. Tutto va bene fino a quando ognuno recita il suo copione. Poi un giorno l’acquirente svanisce, evapora come lo Stregatto di Alice. Da questo punto in poi comincia la trattativa stragiudiziale, si attiva l'ufficio recupero crediti.
E’ il luogo dove finiscono le rate dei telefonini, degli iPad comprati con le finanziarie, dei computer portatili, dei prestiti per curarsi i denti non onorati, dei mutui per la casa diventati soffocanti per sopraggiunta crisi economica. Un fiume di storie dietro a un gelido numero di pratica. Il malefizio che fa precipitare in questo tunnel è una diagnosi secca e perentoria che arriva con una raccomandata postale: "decaduto dal beneficio del termine".

Le mille ascuse per non aver onorato i prestiti
Non si riceve al pubblico, solo contatti telefonici. Un pugno di scrivanie con fogli di carta sparsi, penne biro, computer e una montagna di scatoloni inzeppati di pratiche dove riposano migliaia di storie. Luci basse e un team di legali a partita iva mediano, trattano, se non ottengono non guadagnano. Ci vuole cuore, testa e coraggio, perché chi non è mai andato a bussare alla porta di un debitore non può stare seduto a quelle postazioni. È come giocare a poker: non hai di fronte le carte, ma il giocatore che le manovra. Hanno tutti una storia, una scusa, un lutto. Si decide di smettere di pagare la rata per saldare l’affitto di casa, la mensa del bambino a scuola, le bollette dei consumi domestici.
Ammucchiati nei scatoloni c’è la storia del credito al consumo italiano che disegna in controluce la fisionomia dell'Italia. Basta sfogliarne una manciata per accorgersi che sono i padri e i nonni che mantengono i figli. Appartengono a loro le firme, gli avalli, le garanzie al benessere delle nuove generazioni.
Una montagna di “aggeggi elettronici” viene finanziata a chi spesso è sulla linea della morte e ha impegnato bel oltre il 30% del proprio reddito, materiali prodotti per la maggior parte fuori dall’Europa con manodopera a bassissimo costo. Basterebbe un “no” preventivo e il Signor Rossi non starebbe al telefono a raccontare la sua storia, diversa da tutte le altre ma ascoltata cento volte.
Ma i limoni da cogliere sull'albero diminuiscono di giorno in giorno, allora si spreme tutto quello che si può da quelli esistenti a costo di varcare la linea d'ombra.

La rimodulazione del debito
In sei mesi si definisce una pratica e una buona percentuale delle persone paga con una ridefinizione della rata, uno scapaccione con gli interessi e si potrà comprare il prossimo cellulare. Chi ha disponibilità per chiudere il debito in contanti può arrivare al 50% di sconto sulla somma dovuta. Un colpaccio per chi ha finanziato l’importo iniziale, perché la maggior parte delle persone smette di pagare dopo la terza-quarta rata. Sommando questa cifra si arriva alla somma iniziale che si è chiesta. E i crediti più grossi che si incagliano che fine fanno, quelli da decine e centinaia di migliaia di euro? Alberto Sordi dedicò un film all'argomento, con sceneggiatura di Cesare Zavattini. Il protagonista disperato per gli impegni presi con una finanziaria, decideva letteralmente di vendere un occhio a un imprenditore del mattone per risanare la sua catastrofica esposizione. Ma il boom ormai è nei manuali di storia, i crediti rimangono in attesa che un sussulto li riporti in vita.
Giacciono ingialliti ammassati in un mobile imponente per fattura lignea e vetustà. In questo caso aspettare, spesso, premia. Ogni dieci anni il credito si rinnova con una semplice raccomandata se il bene non è stato ancora pignorato o venduto all'asta. Nel frattempo il debitore potrebbe aver migliorato la sua situazione economica, magari ha trovato un nuovo lavoro oppure ricevuto una piccola eredità. In quel caso è lui che preme ai centralini telefonici per estinguere il suo debito.
Il più delle volte ha una fretta dannata. Perché vuole correre ad accenderne un altro più grande del precedente.

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