Roma

Delitto Moro: il corpo trascinato più volte. Nuova verità choc

La maglietta mostra due sgocciolature di sangue; il corpo non è stato sempre riverso nel bagagliaio

di Patrizio J. Macci

Cancellate la sequenza di Aldo Moro ucciso da due terroristi delle Brigate Rosse in un garage, la mattina del 9 maggio 1978 all'interno del portabagagli di una Renault 4 di colore rosso e con targa falsa. Dimenticate la mitraglietta Skorpion ritrovata sotto il letto di un terrorista a Roma in Viale Giulio Cesare. Dimenticate anche l'ora della spietata esecuzione perché non è nell'intervallo di tempo che è stato sempre dato per certo. Dimenticate i colpi sparati verso il corpo di Moro mentre è avvolto in una coperta.
I documenti giudiziari delle indagini sottoposti a un'analisi incrociata rivelano una dinamica diversa. Completamente divergente dalla "verità ufficiale" e che non è mai stata raccontata dallo Stato e neanche dalle Brigate Rosse fino ad oggi. La ricostruzione dei fatti divulgata  è peggiore del lavoro svolto dalla Commissione Warren che si occupò dell'omicidio di John Fitzgerald Kennedy. Sottoposte al vaglio di un'accurata analisi critica le tessere del puzzle non combaciano. I primi a chiedere rigore nelle indagini erano stati proprio i terroristi Morucci e Faranda nel 1980, chiedendo una nuova perizia sulle armi usate per l'esecuzione. La loro richiesta rimase inascoltata, nessuno ha mai saputo il perché.
A far parlare le carte del Caso Moro (e solo quelle, senza dietrologie e fiction di alcun genere) è Paolo Cucchiarelli, giornalista d'inchiesta romano che ha riversato il frutto di dieci anni di indagine in un volume zeppo di documenti con indice dei nomi "Morte di un presidente" (Ponte alle Grazie Editore). Per la prima volta il focus dell'inchiesta giornalistica non è il momento del sequestro ma l'esecuzione dell'Onorevole Aldo Moro, i luoghi nei quali è stato rinchiuso durante la prigionia e le armi usate dai terroristi per uccidere il Presidente. Avvalendosi della consulenza del perito balistico Gianluca Bordin e del professor Alberto Bellocco Cucchiarelli ha vagliato migliaia di pagine di perizie, analisi e documenti giudiziari.

Moro è stato ucciso con una modalità che non ha nulla a che vedere con quanto riportato nei diversi processi e nelle commissioni parlamentari che si sono occupate del caso. Le perizie sono state lacunose, pasticciate e imprecise. I reperi alterati in maniera irreversibile senza che ce ne fosse una motivazione.
I documenti presenti all'interno del volume parlano chiaro: le due armi poi sequestrate coincidono per marca e modello con quelle utilizzate, ma non vi è alcun riscontro scientifico che siano "quella" mitraglietta e "quella" pistola. Bastava osservare le foto dell'epoca per averne la certezza.
La maglietta che Moro indossava sotto la camicia mostra due sgocciolature di sangue distinte, non una macchia univoca. Indice che il corpo non è stato sempre riverso nel bagagliaio ma spostato più di una volta.
La fine di Moro coincide con un'operazione di rimozione di elementi fondamentali del Caso che non dovevano essere divulgati all'epoca nè mai. La lettura in sequenza delle carte fa emergere un altro finale. Per arrivare a queste conclusioni bastava utilizzare il metodo usato per analizzare il più banale degli accadimenti: il nesso causale tra il rovesciamento di un bicchiere sul tavolo e la fuoriuscita del liquido in esso contenuto.
L'intera vicenda è da riscrivere, i corpi del reato dovrebbero essere prelevati dal magazzino polveroso dove giacciono e sottoposti a nuove analisi, i testimoni dell'epoca ancora in vita interrogati sulle loro dichiarazioni. I due casi giudiziari sui quali non ci si deve mai stancare di chiedere verità a squarciagola sono l'omicidio di Aldo Moro e quello di Pier Paolo Pasolini, legati a doppio filo. Capri espiatori che hanno pagato con le proprie vite le rispettive eresie.
Il volume è uno squarcio di verità in quasi quarant'anni di nebbia impenetrabile su quanto accaduto in quei cinquantacinque giorni del 1978.