Roma

Donne e lavoro: quasi il 50% è part time. E resta la differenza di stipendio

Aumentano le donne lavoratrici, ma quasi la metà è part time. E il divario di stipendio con gli uomini aumenta

Donne e lavoro, nel Lazio aumentano le lavoratrici ma quasi la metà ha un contratto part time. Non diminuisce la differenza di genere nello stipendio: gli uomini guadagnano, in media, 6mila euro l'anno in più delle colleghe. Nel giorno della Festa della donna c'è poco da festeggiare.

 

L'Uil Lazio sceglie infatti l'8 marzo per sviscerare i dati sull'occupazione femminile, analizzando ci e problemi atavici del lavoro "rosa". Il divario salariale con gli uomini, ad esempio,  è solo apparentemente inferiore a quello del 2013 (7,1 mila euro il gap), perché frutto di una diminuzione dei salari della componente maschile e non di un effettivo miglioramento dei livelli retributivi femminili. I dati infatti evidenziano come a fronte di una contrazione delle retribuzioni, complessivamente, del -1,3% (-285 euro in valori assoluti), i compensi degli uomini nello stesso periodo abbiano registrato una riduzione del 2%(-499 euro), mentre quelli delle donne abbiano segnalato una sostanziale stabilità, con una variazione pari al +0,2% (+39 euro in termini assoluti).

Nella Capitale, la retribuzione media (26 mila euro annui) è più elevata delle altre province quindi superiore alla media regionale (23 mila euro nel 2017). Ciò comporta che la differenza di genere risulta marcata, pari a 6.683 euro in valori assoluti. Quindi il compenso medio di una lavoratrice corrisponde ai tre quarti dello stipendio di un uomo (74,3%). Un gap ancora più marcato si registra a Viterbo, dove una donna guadagna il 62,3% della retribuzione maschile. In generale, sono soprattutto i giovani a percepire compensi meno adeguati, in parte perché più precari rispetto alle posizioni lavorative dei più adulti, e in parte perché - anche in presenza di situazioni di migliore stabilità contrattuale - il livello retributivo tende generalmente a crescere con l’aumentare dell’anzianità di servizio (e dunque indirettamente dell’età anagrafica): nello specifico, la retribuzione media annua degli under 24 nel 2017 si attesta ad appena 7 mila euro annui, raddoppiando nella fascia di età successiva (25-34 anni) e raggiungendo il livello massimo tra i lavoratori nella fascia compresa tra i 55 e i 64 anni, con retribuzioni medie pari a 31,5 mila euro annui.

Più in generale nel Lazio, le retribuzioni delle lavoratrici corrispondono mediamente al 73,3% delle retribuzioni degli uomini con scarti maggiori tra gli over 65enni, i cui compensi femminili raggiungono un valore pari ad “appena” il 61,6% delle retribuzioni maschili (in termini assoluti i compensi medi annui relativi al 2017 si attestano rispettivamente a 20,6 e a 12,7 mila euro). Differenza retributiva dovuta anche alla maggiore diffusione tra le donne di lavoro part-time, che nel 2017 coinvolge il 43,7% delle lavoratrici della regione (quasi 260 mila unità in termini assoluti), a fronte di una percentuale pari ad “appena” il 21% per gli uomini. L’incidenza del part-time risulta particolarmente significativa tra gli under25, dove oltre un occupato su due ha un impiego parziale (quasi 34 mila unità in termini assoluti), percentuale che raggiunge il 62,9% tra le donne (16,3 mila unità) e che scende al 46,2% tra gli uomini (17,6 mila unità) e registra invece una diffusione minore nell’età compresa tra i 55 e i 64 anni, con circa un occupato su 4 assunto con contratto a tempo parziale (47 mila lavoratori in termini assoluti). 

“Dati che confermano purtroppo l’andamento di una regione e in generale di un Paese ancora troppo retrogrado e maschilista, dove le donne svolgono lavori meno qualificanti nonostante spesso abbiano titoli di studio più elevati e migliori prestazioni scolastiche e accademiche – commenta il segretario generale della Uil del Lazio, Alberto Civica – Ciò che è peggio è che la situazione rischia di precipitare ulteriormente. Basti guardarsi intorno e vedere come e quanto le donne siano considerate da questo Governo, i richiami sessisti, la poca attenzione alle politiche di genere, la sottovalutazione di fenomeni gravissimi come la violenza o lo stupro. Degenerazioni verbali frutto quasi sempre di degenerazioni culturali che stanno investendo e sminuendo la nostra società. Si parla giustamente tanto del ddl Pillon. Cosa rappresenta in termini giuridici se non un’ulteriore mortificazione della donna, dei bambini, considerati entrambi subalterni rispetto all’uomo? E il tanto diffuso ‘se l’è cercata’ nei casi di violenza nei confronti di una donna? Espressioni, disegni di legge frutto di una società patriarcale ancora dura a morire e che anzi, negli ultimissimi tempi, sembra rinvigorire più che mai”.