Roma
Due anni fa l'addio al divo Giulio Andreotti. Letta, Bisignani, Carra... Chi c'era a messa
di Patrizio J. Macci
Due anni senza il "Divo Giulio" sono trascorsi da quel fatidico 6 maggio 2013, da quando la sua intelligenza politica ha smesso di pulsare per sempre. Poteva essere l'ultima sequenza del film di Sorrentino, quella mai girata ma che si è consumata veramente nella chiesa di San Giovanni Battista in piazza dell'Oro durante la messa in suffragio di Giulio Andreotti. La Basilica dei Fiorentini a Roma, ma che per chi nella Capitale ha vissuto gli anni dal Dopoguerra fino all'estinzione della Balena Bianca, è per antonomasia "la chiesa di Andreotti".
C'era la "gens andreottiana" di ogni estrazione sociale, i suoi uomini nei gangli dello Stato a occupare i banchi. I primi a salire le scale sono i figli Stefano e Serena, il marito Marco Ravaglioli giornalista della Rai e poi seconde generazioni che riportano nei tratti del viso il segno inconfondibile del politico italiano più conosciuto del Novecento. Luca Danese, figlio del fratello della moglie Livia, il nipote che alla fine di una incerta parabola ha abbandonato la politica e che le cronache raccontano abbia fisicamente partecipato al trasloco del suo mitologico archivio.
Luigi Bisignani, "l'uomo che sussurra ai potenti" al centro di clamorose vicende giudiziarie arriva silenzioso e abbronzato, sorride e parlotta con una manciata di diplomatici. Gianni Letta entra nella basilica da una porta laterale, forse è un caso ma marca la differenza tra due intelligenze che ad Andreotti devono moltissimo ma che davanti a lui sembrano due figurine che vanno sbiadendosi.
C'è Sandra Carraro tante volte catturata insieme al senatore insieme al marito Franco, in palese ritardo, ma corre arrampicandosi sulle scale due alla volta, forse perché lo sport è stato il suo pane per anni. Defilati e riconoscibili solo dagli occhi scaltri di chi ha sfogliato bene l'album di famiglia di Piazza del Gesù c'è Enzo Carra, che di Arnaldo Forlani è stato portavoce. Sfoggia una barba candida e saluta Francesco D'Onofrio, promotore allo scioglimento della Democrazia Cristiana di quel bizzarro esperimento politico del CCD. Il partito ebbe vita brevissima, ma lui è stato un politico di razza allievo di Henry Kissinger all'università di Harvard. Sono schegge di una formazione politica che aveva un "ministero" per gestire le raccomandazioni all'apice del suo consenso.
Tra le sacre pietre sulle quali è passato ogni mattina prima di attendere ai suoi uffici politici, e dove ha ricevuto l'ultimo sacramento, si sono ritrovati in un meriggio romano con un caldo afoso che ha fatto sembrare alcuni completi blu d'ordinanza ancora più stretti, avvinghiati ai corpi imbolsiti dagli anni, quelli che probabilmente lo hanno amato davvero. Come i due uomini dal volto scuro che confabulano con spiccato accento ciociaro, esibendo una copia del quotidiano locale nella tasca della giacca; quello che veniva stampato dal fedele Giuseppe Ciarrapico e che portava centinaia di migliaia di preferenze a ogni elezione. Ci sono i militari dell'Arma che hanno vigilato sulla sua sicurezza per anni, svetta il Maresciallo Buttarelli folgorato per più di trent'anni dagli obiettivi dei fotografi. Fino all'ultimo, quando sosteneva il Senatore a vita mentre entrava nel suo studio a Palazzo Giustiniani.
C'erano proprio tutte le sfumature dell'andreottismo più genuino in questa chiesa sui generis, che ospita le spoglie del Borromini artista sublime del Seicento e quelle di Onofrio del Grillo, ispiratore del personaggio dell'omonimo "Marchese". Il talento assoluto e la follia, senza separazione alcuna. Tutti tranne la Democrazia Cristiana, ma a quella Andreotti è sopravvissuto per quasi dieci anni. Il suo potere invece è scomparso con lui.