Roma

E' morta: lo Stato le deve 700 mila €. Amianto, condannato il Ministero

di Valentina Renzopaoli

Il Ministero della Difesa condannato a pagare un mega risarcimento di quasi 717mila euro, colpevole di aver “permesso” che una sua dipendente si ammalasse di una malattia incurabile, lavorando in strutture contaminate da amianto. Lo hanno stabilito i giudici della Corte d'Appello di Roma presieduta da Amelia Torrice, confermando la condanna al risarcimento dei danni già emessa dal Tribunale di Velletri.
Una sentenza come spesso accade tardiva: la donna, M.M. romana residente ad Anzio, nel frattempo è deceduta. Non aveva nemmeno cinquant'anni.
La prima denuncia risale al 2008 quando la signora, dopo aver lavorato per quasi tre decenni presso il Policlinico militare di Anzio, si ammala di mesotelioma pleurico, una malattia senza scampo causata senza ombra di dubbio dall'esposizione al materiale killer. Le verifiche tecniche eseguite negli anni hanno infatti confermato che la struttura militare, realizzata negli Anni Cinquanta, era strapiena di eternit: a partire dalla tettoia  fino agli impianti elettrico, di condizionamento e di riscaldamento. Amianto c'era persino nell'intonaco spruzzato sulle pareti.
Lo stabile immerso nel verde, era stato bonificato sono nel 2009, in seguito alla denuncia della signora e alla prima sentenza di condanna del Tribunale di Velletri. L’Avvocatura dello Stato aveva impugnato quella sentenza sostenendo la tesi della “fibra killer”, e quindi della non certezza della riconducibilità causale del mesotelioma alla presenza di amianto, massiccia e perdurante, presso il policlinico militare di Anzio.
I legali della donna e dei suoi eredi, gli avvocati Ezio Bonanni e Ciro Palumbo hanno invece messo in luce il fatto che la tesi della fibra killer è priva di ogni scientificità e che il mesotelioma è invece dose dipendente. Tesi accolta dal collegio della Corte d'Appello. "Le tesi dell'Avvocatura dello Stato tendevano solo a ribaltare il giudizio di primo grado emesso dal Tribunale di Velletri senza poter in concreto smontare gli esiti del primo grado" commentano gli avvocati della famiglia della vittima. “Ora resta da vedere se il Ministero ricorrerà fino alla Cassazione”.