Roma
Ecco come Zingaretti “affaticato” lascerà il Lazio per fare il vicepremier
“La Regione Lazio” diventa una “prigione politica”. Perché Conte, Bonaccini e Franceschini dicono no alla nomina a vicepremier
Per un personaggio come Nicola Zingaretti che non ha mai fatto un lavoro reale e la cui contribuzione Inps è a scelta tra dirigente di partito e presidente della Provincia di Roma o della Regione Lazio, parlare di sovraffaticamento per il doppio ruolo di presidente del Lazio e segretario del Pd suona offensivo, almeno per chi attende ancora la Cig di marzo e aprile.
Ma l'uscita sulla “presunta fatica" del “doppio ruolo” e alla “risposta” che bisognerà trovare, ha due chiavi di lettura. La prima è quella classica dello stress da doppio lavoro; la seconda, quella più realistica, di una ritrovata insofferenza per il ruolo di presidente del Lazio che rischia di fargli perdere la segreteria del Pd, che non gli è sfuggita di mano solo perché le elezioni hanno salvato la Toscana. Così, pur sostenendo “non essere assolutamente in campo per fare il ministro” che nella liturgia zingarettiana va letto esattamente al contrario, in realtà lo Zar ha aperto le grandi manovre per arrivare a fare il ministro. Anzi, il vicepremier.
La realtà elettorale delle amministrative di settembre fatto lo ha salvato ma Nicola il grande è cosciente che la Regione Lazio rischia di diventare una “prigione politica” senza una via d'uscita, soprattutto per colpa “del fuoco amico” di Stefano Bonaccini e di Dario Franceschini. In assenza di un ruolo di potere governativo è il ministro della cultura Dario Franceschini a fare il buono e il cattivo tempo col Governo, forte della sua carica di “capo delegazione del Pd”. Ed è quindi il primo a fare pressioni affinché Zingaretti resti più a lungo possibile nel recinto della Regione Lazio, in modo da permettergli perimetri di azione ampi: dai rapporti reali col 5 Stelle in Consiglio dei ministri sino alle nomine. Diversamente Franceschini si ritroverebbe a fare il ministro per la Cultura nella stagione in cui la maggior parte delle risorse le assorbe la guerra contro il Covid.
E poi c'è Giuseppe Conte. L'idea di un vicepremier nonché segretario di un partito che è anche azionista, potrebbe oscurarlo nel giro di pochi mesi, soprattutto se poi il personaggio è anche un animale mediatico molto più efficace.
A conti fatti Zingaretti se non esce dalla Regione Lazio rischia di rimanerci e di perdere anche la segretaria del Pd. L'uscita sul doppio incarico e sulla stanchezza è solo un avvertimento agli amici del Pd: la “risposta è solo una questione di tempo”.