Roma
Ecco il volto credente di Guttuso. “La Crocifissione” in mostra al Quirinale
Il teologo Crispino Valenziano: “Guttuso credeva di non credere”
Renato Guttuso e il rapporto con la religione, con Dio e la fede: la mostra “Guttuso. Inquietudine di un realismo”, ospitata nella Galleria di Alessandro VII al Palazzo del Quirinale, rilegge secondo una prospettiva inedita l'opera dell'artista.
“Guttuso credeva di non credere” sostiene il teologo Crispino Valenziano che ha curato la selezione delle circa trenta opere in esposizione. E proprio da questa convinzione è partito per tracciare il filo conduttore della mostra che rimarrà negli spazi del Quirinale dal 10 settembre al 9 ottobre.
Fulcro dell'evento “La Crocifissione”,l'opera più famosadi Guttuso e uno dei quadri più significativi del Novecento italiano: in occasione della presentazione al Premio Bergamo nel 1942, suscitò un grande dibattito nel Paese. Ecclesiastici autorevoli, giudicandola blasfema, proibirono ai chierici di guardare l’opera, pena la sospensione a divinis.
L’esposizione è a cura di Fabio Carapezza Guttuso, Presidente degli Archivi Guttuso, e di Crispino Valenziano, Presidente della Accademia Teologica via pulchritudinis, ed è resa possibile dal sostegno del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, dei Musei Vaticani, del Museo Guttuso di Bagheria, della Camera dei Deputati e di prestigiose collezioni private.
Monsignor Crispino Valenziano, teologo da sempre vicino all’arte, proprio dalla Crocifissione ha iniziato l’esegesi delle opere dell’artista, per proseguire nella disamina d Spes contra spem, Il Legno della Croce, la Cena di Emmaus, fino agli Studi di Crocifissione, proponendo una nuova chiave di lettura: “Di Guttuso mi interessa il credere cristiano complicato a suo modo nell’opera della sua arte”, scrive in un suo saggio titolato emblematicamente “Guttuso credeva di non credere”.
Valenziano si sofferma sulla produzione artistica di Guttuso sottolineando come “dalla virtualità religiosa del suo realismo sociale” si giunga “alla sua conoscenza riflessivamente operativa delle Scritture e delle tradizioni connaturate al nostro radicamento culturale”, e infine “alla sua disponibilità e adesione a realizzare opere che hanno nella liturgia la loro causalità originante, la loro identità materiale e formale e la motivazione finale della loro struttura e funzione”.