Roma

Elemosiniere del Papa: una lezione per tutte le istituzioni. L'analisi

Konrad Krajewski ha riaffermato il principio elementare che l'incolumità delle persone viene prima di qualsiasi norma

di Andrea Catarci *

C’è voluto un gesto eclatante del cardinale polacco Konrad Krajewski per riattaccare la corrente a Spin Time Labs, l’ex sede Inpdap nel quartiere San Giovanni dove si svolgono eccellenti iniziative socio-culturali e vivono 450 persone, tra cui 98 bambini. L’elemosiniere apostolico ha riaffermato il principio elementare che l'incolumità delle persone viene prima di qualsiasi norma, pure di quella pessima - approvata quando al governo c’era ancora Renzi - che permette di invertire tale scala di priorità.

A partire dal caso singolo, va colta l’opportunità di entrare nel merito della questione generale, per rimarcare alcune evidenti verità che vengono spesso taciute e negate nel dibattito mass-mediatico.

A riaccendere la luce e ad assicurare la sicurezza sociale a Spin Time – e in tutti gli Spin Time d’Italia - avrebbero dovuto essere le istituzioni, non la chiesa. Prima di muoversi in proprio il cardinale ha sollecitato la nuova prefetta di Roma a risolvere lei la questione, sottolineando l’emergenza umanitaria e gli aspetti insopportabili della vicenda, senza ottenere alcun risultato. Al contrario, le indicazioni che partono dal Ministro dell’Interno sono di tutt’altro tenore e sono accompagnate da dichiarazioni di guerra ai centri sociali e a chi si è dato un tetto attraverso l’occupazione. La circolare del 1 settembre 2018 incita le prefetture a procedere con la forza pubblica anche in assenza di alternative per le persone senza casa. Nei successivi Tavoli per l’ordine pubblico il Ministro ha dovuto controbattere alle perplessità di Roma Capitale e della Regione, inizialmente indisponibili a azioni come quella di via Curtatone dell’estate 2017 che lasciò decine di famiglie in mezzo alla strada. Poi le resistenze degli enti locali devono essere diventate via via meno decise, visto che lo scorso aprile 2019 è stato sottoscritto da tutti il cosiddetto Patto per la sicurezza ed ha preso forma il piano sgomberi, quello con cui nel breve e medio termine il Ministero dell’Interno intende azzerare 22 esperienze cittadine catalogate come “occupazioni critiche”.

In mezzo al piano sgomberi ci sono immobili utilizzati a scopo abitativo, centri sociali e luoghi che sono diventati da anni eccellenze artistiche della città. I primi due obiettivi sono l’ex scuola di via Cardinal Capranica a Primavalle e gli ex uffici di viale del Caravaggio a Tormarancia, dove vivono rispettivamente 250 e 400 persone, seguiti da altre strutture una volta fatiscenti, nel tempo rese utilizzabili attraverso pratiche di autorecupero, in cui nel complesso trovano alloggio alcune migliaia di persone. Pensare che si trovi un’alternativa anche temporanea è impensabile e prevedere che si allarghi la piaga dell’emergenza casa è scontato. Nella medesima linea di ottusa fermezza si perseguono anche realtà sociali e culturali che da anni rappresentano un argine al degrado dei quartieri e al declino senza fine di Roma: Acrobax all’ex cinodromo di Ponte Marconi, Strike a Portonaccio, l’ex Lavanderia all’interno dell’ex manicomio a Monte Mario, il Cinema Palazzo a San Lorenzo - recentemente base artistica della Palma D’Oro Marcello Fonte -, la Casa delle donne Lucha y Siesta al Tuscolano e la Biblioteca Abusiva Metropolitana a Centocelle sono preziosi esempi di protagonismo dal basso, cresciuti restituendo una funzione sociale a spazi altrimenti destinati a diventare ricettacolo di traffici e disagio. Altro che perseguirli, tutti dovrebbero essere ringraziati dalle istituzioni per i favori resi alla collettività e, se proprio si è indotti a concentrare l’attenzione sulla dimensione economica per la pressione delle proprietà, a ognuno andrebbe riconosciuto il ristoro per gli onerosi lavori di manutenzione svolti sugli immobili, per l’opera di custodia e guardiania degli stessi, per l’erogazione di cultura, servizi e socialità, senza finanziamenti, avvenuta laddove prima c’erano solo macerie.

D’altronde, quanto sia pericoloso e nocivo lasciare all’abbandono edifici e spazi simili lo testimonia la cronaca nera. In un recente censimento svolto dalla prefettura a Roma, attualmente si contano 161 immobili dimenticati dalle proprietà, che costituiscono altrettanti focolai di potenziale rischio al punto da essere sotto la vigilanza, onerosa, delle forze di polizia. Si tratta di vecchi capannoni industriali, negozi, scuole, cinema, teatri, impianti sportivi, garage e altro, distribuiti in tutti i territori con un picco nel Municipio Roma VIII (18 immobili), appartenenti per il 36% a Roma Capitale, per il 33% a privati, per il 13% ad altri enti pubblici e per il 18% a proprietari non identificati. Questi si che sono - e rischiano di diventare sempre più - delle polveriere. Con una politica di assegnazione, a scopi culturali e sociali, potrebbero trasformarsi da zavorra a opportunità di sviluppo, puntando sul coinvolgimento di cittadini e realtà di base fin dal momento della necessaria riqualificazione. Per di più sono pubblici per almeno il 49%, cioè in un’ottantina di casi si potrebbe procedere senza esitazioni.

Si obietterà che i tre ordini di ragionamento di sopra si devono contemperare con il diritto di proprietà ed è sicuramente vero. Ma assolutizzare tale diritto, quando in 161 situazioni certificate è fonte di problematiche di pericolosità sociale (reale o potenziale) e criminalizzare persino l’indigenza, come avviene con le occupazioni socio-abitative, è altrettanto ideologico che negarlo. Come ci ha spiegato con la sua solidarietà concreta il cardinale Krajewski…

* Andrea Catarci, Movimento civico