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Roma
Elezioni Roma, 6 settimane di pura follia. Dalla funivia alla Ferrari

di Valentina Renzopaoli


A Roma saranno ricordate come le elezioni della funivia di Casalotti, della Ferrari di Marchini, dell'eterna giovinezza photoshoppata della presto mamma Meloni; delle poltrone vuote e dei verbali fantasma ma anche dei confronti all'americana sull'ormai imprescindibile Sky, della candidatura annunciata, confermata e poi rimangiata di Bertolaso, e del giallo di Fassina con le sue firme sospette. Le elezioni della rabbia e della voglia di riscatto, dell'antipolitica e della protesta. Sei settimane di follia, precedute da mesi di pseudo campagna dai toni esasperati.
La corsa parte ufficialmente il 7 maggio: alle 12 scade il termine per la presentazione delle liste. La sfida è a cinque, con la candidata M5s, l'avvocato Virginia Raggi in pole, già accreditata per arrivare a pieni voti al ballottaggio. A sfidarla ci sono per il centrosinistra Roberto Giachetti, Giorgia Meloni sostenuta dalla Lega di Salvini e Alfio Marchini, il civico sostenuto da Forza Italia, Ncd e La Destra di Storace. Sia il centrodestra che il centrosinistra si presentano divisi alla sfida. In corsa per il Campidoglio c'è infatti anche il leader di Sinistra Italiana, Stefano Fassina che, dopo l'epilogo-debacle dell'amministrazione Marino, ha preso le distanze dal Pd.
Ma la storia che va raccontata, in realtà, ha una prefazione che non può essere omessa e che segnerà il destino del centrodestra, cambiando il panorama del presente e pure del futuro prossimo. Protagonista è il già dimenticato Guido Bertolaso, ex capo della Protezione Civile, candidato sindaco eletto da Silvio Berlusconi e rimasto in carica per soli due mesi e dieci giorni. Il 12 febbraio l'ex premier annuncia la sua scelta, condivisa da tutto il centrodestra, Meloni e Salvini compresi. Si fanno le Gazebarie e tutto fila, poi, il 16 marzo il colpo di scena: arriva lo schiaffo di Giorgia Meloni che dichiara di scendere in campo, mollando Bertolaso colpevole, a suo dire, di non essere riuscito a “scaldare il cuore dei romani”. Da quel momento l'ex capo della Protezione Civile non fa che ballare, si rincorrono le voci di un possibile passo indietro. Bertolaso resiste, Berlusconi pure ma poi alla fine, il 28 aprile, Forza Italia molla Bertolaso e decide di appoggiare l'”uomo nuovo” Alfio Marchini. I giochi sono fatti, si può partire.
Intanto, con due settimane di anticipo rispetto ai termini di legge, Roberto Giachetti presenta le sue liste “pulite”. Per la prima volta i nomi dei 48 candidati di ciascuna delle sue sette liste di appoggio vengono sottoposte al controllo della Commissione Antimafia. Il maxi processo che ha segnato un'era di Roma, quello per Mafia Capitale è in corso di dibattimento e il vicepresidente della Camera vuole dimostrare di saper tagliare i ponti con il passato e di voler voltare pagina.
La campagna ha inizio ed è un fiorire di gaffe e sfondoni. Inizia la pentastellata Raggi con una proposta che diventerà il leit motive della corsa in Campidoglio: il 6 maggio spunta l'idea che dovrebbe cambiare le sorti del traffico di Roma: una funivia tra Casalotti e Boccea per accorciare i tempi di percorrenza. Sui social si scatena la satira.

Non si fa in tempo a digerire l'epica soluzione che il 12 maggio Alfio Marchini, intervenendo alla presentazione dei candidati della Lista Storace, nomina Benito Mussolini e lo elegge il “più grande urbanista di questa città”. Il bell'Alfio rimane in pole position nella classifica dell'imbarazzo anche nei giorni seguenti: un quotidiano romano raccoglie la segnalazione di alcune persone che notano in una piazzola di sosta di un autogrill fuori dal Grande raccordo anulare, tra l'Aurelia e la Flaminia,  l'imprenditore che arriva a bordo di una modesta Fiat Panda, e viene accolto da un collaboratore pronto a passargli le chiavi di una Ferrari grigia. Dopo qualche giorno al centro delle polemiche, conferma: "Sì, lo faccio da sempre perché mi hanno insegnato che non bisogna ostentare il benessere". I romani non perdonano e la Ferrari sarà la sua “tomba”.
Nel frattempo, va in scena una sorta di melodramma: l'8 maggio Piero Fassina e le sue liste vengono escluse dalla competizioni per errori formali. Il candidato sindaco rimane sbigottito poi ammette le sue responsabilità. Due le motivazioni per le quali la Commissione elettorale circondariale ha escluso la Lista civica per Fassina sindaco e la lista Sinistra per Roma: in alcuni casi è stata verificata l'assenza della data nei moduli di presentazione; in altri (solo per alcuni municipi) è stato invece usato un modulo vecchio che non prevede l'indicazione delle direttive previste dalla Legge Severino in merito alle cause d'incompatibilità. Immediata parte la corsa dei concorrenti ad accaparrarsi i voti degli elettori rimasti orfani. E i sondaggisti impazzano, ipotizzando spostamenti di due o tre per cento a favore di uno schieramento di un'altro. Le speranze per Fassina sembrano spegnersi quando, il 13 maggio, il Tar del Lazio conferma l'esclusione. Ma poi, il nuovo colpo di scena: il 16 maggio il Consiglio di Stato rimette tutti in corsa. Sfumano gli appetiti di spartirsi una manciata di voti da parte del centrosinistra e del M5S, almeno fino al ballottaggio.
Il 23 maggio Giachetti arriva ancora primo, giocando d'anticipo a due settimane del voto, presenta in diretta facebook la squadra pronta ad affiancarlo in caso di vittoria. Sei donne e tre uomini, di cui tre conferme della giunta di Ignazio Marino: Silvia Scozzese e Marco Rossi Doria nell’esecutivo (al Bilancio e all’Istruzione) e il magistrato antimafia Alfonso Sabella come capo di Gabinetto. A servizi sociali, welfare e immigrazione l’ex ministro Livia Turco, Lorenza Baroncelli, attualmente assessore a Mantova, alla rigenerazione urbana, Carla Ciavarella, dirigente penitenziario, al patrimonio-casa, Claudia Servillo, dirigente del ministero dell’Ambiente, all’ambiente e rifiuti, Stefania Di Serio, esperta di mobilità già in Atac, ai trasporti, Francesco Tagliente, ex questore di Roma, alla sicurezza, e Marino Sinibaldi a cultura.
Il ritmo della campagna elettorale è serrato: tutti i mercati rionali della città vengono battuti a tappeto, parchetti abbandonati di Ostia diventano scenografie di passerelle e palcoscenici degni della Croisette, i candidati transitano da un salotto televisivo ad un'altro. E il filo conduttore è sempre lo stesso: all'appello manca puntualmente il 5Stelle che preferisce disertare i faccia a faccia. All'incontro organizzato dall'Associazione dei costruttori edili di Roma e provincia, il 12 maggio, viene addirittura lasciata una poltrona vuota.
Ad un appuntamento però, l'avvocatessa non può fare a meno di partecipare: il 31 maggio, romani incollati alla televisione, telecomando alla mano per sparare voti via satellite, per il confronto su Sky. Un minuto a testa per parlare dei problemi di Roma e delle possibili soluzioni: dalle buche alle periferie, dai rifiuti al debito, dai trasporti alla legalità. Si accendono scintille tra le due donne: la Raggi attacca la Meloni per il suo passato da “fascista”, e lei ricambia accusandola di essere “commissariata” dai parlamentati del 5Stelle.
Alla mezzanotte del 3 giugno quello che fatto è fatto: una giornata di silenzio elettorale, poi domenica 5 le urne si aprono alle 7 della mattina. Un giorno solo per votare, nonostante il ponte per la Festa della Repubblica rischia di lasciare i romani tutti la mare.
E invece, alla fine, l'incubo astensione si ridimensiona. A votare si reca oltre il 56% degli aventi diritto. Dritti al ballottaggio ci vanno Virginia Raggi che conquista il 35,2% e Roberto Giachetti con il 24,8%. Nella notte la Meloni ad un certo punto ha sperato: intorno alle due il balletto di cifre l'avevano data al secondo posto. Finisce invece al terzo con il 20,6%, segue Marchini con un deludente 11% e poi Fassina che non arriva al 4 e mezzo.
I risultati arrivano la mattina del lunedì, ma nel giro di poche ore si realizza che per i dati definitivi bisognerà attendere parecchio. Al seggio centrale, allestito nell'ex Fiera di Roma, si scatena il panico e va avanti per diversi giorni. I conti non tornano: verbali non compilati o addirittura mancanti, tabelle scarabocchiate, somme sbagliate. Dopo una settimana di conteggi si tira la riga e il risultato è vergognoso: all'appello infatti mancano 40 sezioni, per un totale di circa 30mila preferenze sparite, sottratte ai candidati ma soprattutto ai cittadini che hanno espresso una scelta.
Una macchia indelebile che sporca una delle più delicate tornate elettorali della storia di Roma, proprio quando si attendeva massima trasparenza e legalità.
Ora l'ultimo atto. Intorno alle 23,30 di domenica 19 Roma avrà il nuovo sindaco, quello che prenderà il posto del commissario Francesco Paolo Tronca che, a sua volta, ha preso il posto di Ignazio Marino, mandato a casa con un atto notarile. Salvo miracoli, l'esito appare scontato. Si attende solo l'urna, nella speranza che la macchina elettorale del Comune non faccia il bis.

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