Roma
Enzo Tortora: 30 anni fa finiva l'incubo. Il caso vergogna della giustizia
di Patrizio J.Macci
Enzo Tortora: niente droga, niente associazione a delinquere. Trent'anni fa usciva dall'incubo dopo essere stato sbattuto in carcere come un mostro.
Il 15 settembre del 1986 dopo sette mesi di inferno trascorsi tra carcere e arresti domiciliari Enzo Claudio Marcello Tortora, giornalista televisivo, conduttore della trasmissione Portobello che entrava in prima serata nelle case di venti milioni di italiani, fu scagionato in maniera definitiva dall’accusa di essere un trafficante di droga e di appartenere a un’associazione di stampo camorristico.
La sua vicenda giudiziaria era cominciata il 17 giugno 1983 nelle prime ore del mattino con l’arresto nella suite dell’hotel Plaza di Via del Corso. Una foto che immortalava Tortora in camicia e giacchetto di tela ammanettato tra due carabinieri come Pinocchio, all’uscita del comando del Reparto Operativo dei Carabinieri, il sigillo mediatico dell’evento.
Le accuse si basavano sulle dichiarazioni dei pregiudicati Giovanni Pandico, Giovanni Melluso (soprannominato "Gianni il bello") e Pasquale Barra legato a Raffaele Cutolo; inoltre, altri otto imputati nel processo alla cosiddetta Nuova Camorra Organizzata accusarono Tortora. A queste accuse si aggiunsero quelle, rivelatesi anch'esse in seguito mendaci, del pittore Giuseppe Margutti, già pregiudicato per truffa e calunnia, e di sua moglie che dichiararono di aver visto Tortora spacciare sostanze stupefacenti negli studi dell’emittente milanese Antenna 3. Si arrivò al numero di tredici false testimonianze e, in totale, i pentiti che accusarono Tortora furono diciannove.
Le prove in mano ai magistrati si fondavano unicamente su un'agendina trovata nell'abitazione di un camorrista, Giuseppe Puca detto O'Giappone, recante vergato a penna un nome che appariva essere, inizialmente, quello di Tortora, con a fianco un numero di telefono. Il nome, dopo una perizia fotografica, risultò non essere quello del presentatore, bensì quello di un tale Tortona. Nemmeno il recapito telefonico risultò essere quello di Tortora.
Le reti della Rai mandarono in onda ininterrottamente e senza pietà il video del conduttore ammanettato: la sua immagine umana e professionale fu devastata dalla stampa dell’epoca. Una vignetta con il Pappagallo Portobello che pronunciava la parola “Portolongone”, fu pubblicata in prima pagina da un quotidiano nazionale. Tortora fu difeso e sostenuto, oltre che dai Radicali, da Pippo Baudo, Piero Angela, Leonardo Sciascia e Massimo Fini e Enzo Biagi.
Nel giugno del 1984, a un anno esatto dal suo arresto, Enzo Tortora fu eletto deputato al Parlamento europeo nelle liste del Partito Radicale, che ne sostenne la battaglia giudiziaria. Il 17 settembre 1985 Tortora in primo grado fu condannato a dieci anni di carcere e a una cospicua sanzione pecuniaria. Il 13 dicembre 1985 si dimise da europarlamentare e, rinunciando all'immunità parlamentare, si autoconfinò nella sua abitazione milanese. Il giudice Michele Morello raccontò così il lavoro d'indagine che avrebbe poi portato all'assoluzione di Tortora del 15 settembre 1986:
“Per capire bene come era andata la faccenda, ricostruimmo il processo in ordine cronologico: partimmo dalla prima dichiarazione fino all'ultima e ci rendemmo conto che queste dichiarazioni arrivavano in maniera un po' sospetta. In base a ciò che aveva detto quello di prima, si accodava poi la dichiarazione dell'altro, che stava assieme alla caserma di Napoli. Andammo a caccia di altri riscontri in Appello, facemmo circa un centinaio di accertamenti: di alcuni non trovammo riscontri, di altri trovammo addirittura riscontri a favore dell'imputato. Anche i giudici, del resto, soffrono di simpatie e antipatie. E Tortora, in aula, fece di tutto per dimostrarsi antipatico, ricusando i giudici napoletani perché non si fidava di loro e concludendo la sua difesa con una frase pungente: “Io grido: “Sono innocente”. Lo grido da tre anni, lo gridano le carte, lo gridano i fatti che sono emersi da questo dibattimento! Io sono innocente, spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi”.
Chiusa in anticipo, causa malattia, la conduzione del suo ultimo programma "Giallo" dopo essere tornato in video con la frase “Dunque, dove eravamo rimasti?” nell'autunno 1987, Enzo Tortora morì la mattina del 18 maggio 1988 nella sua casa di Milano, stroncato da un tumore polmonare. Il nesso eziologico tra vicenda umana e malattia era lampante.
Nel 2008 Vittorio Pezzuto ha ricostruito la vicenda giudiziaria nel volume biografico “Appplausi e Sputi – Le due vite di Enzo Tortora” ora disponibile nel solo formato digitale per le Edizioni Kepler.
La rilettura filologica di quindicimila documenti, un prezioso lavoro di verifica di tutti gli atti giudiziari, un ritratto dell'uomo e un viaggio nell'Italia di quegli anni. Un libro “monstre” per un caso giudiziario mostruoso che, a tutt’oggi, sembra non aver insegnato nulla.