Roma

Enzo Tortora “ucciso” 30 anni fa. Ma papà di Portobello è “immortale”

Il momento drammatico dell'arresto di Enzo Tortora. Scagionato da ogni accusa dopo un'odissea lunga 5 anni

Il giornalista Enzo Tortora muore 30 anni fa dopo una lunga e travagliata vicenda giudiziaria durata 5 anni.

La sua odissea comincia alle 4 del mattino il 17 giugno del 1983 quando viene svegliato dai Carabinieri di Roma e arrestato per traffico di stupefacenti e associazione di stampo camorristico. Le accuse si riveleranno completamente infondate dopo tre gradi di giudizio che terranno l'Italia con il fiato sospeso. Vittorio Pezzuto ha ricostruito la sua biografia ("la sua trasmissione televisiva Portobello aveva oltre 20 milioni di telespettatori") nel volume “Applausi e sputi, le due vite di Enzo Tortora” ora disponibile esclusivamente in formato ebook (Kepler Edizioni) divenuto oramai un classico della storia del giornalismo e del costume italiano. In occasione del trentesimo anniversario dalla morte, ripercorriamo uno dei momenti più drammatici della storia moderna, pubblicando l'incipit del volume: il momento dell'arresto. Enzo Tortora verrà assolto e scagionato completamente da ogni accusa.

"VENTICINQUE anni fa, alle quattro e un quarto del mattino del 17 giugno, bussano alla porta di una camera dell’Hotel Plaza di Roma. Spalancato l’armadio, aperta una valigia, sequestrata un’agenda telefonica, guardato dentro ai calzini e spaccato un salvadanaio di ceramica a forma di porcellino (non si sa mai) si portano via un uomo stralunato, che ha appena avuto il tempo di vestirsi e di raccogliere pochi effetti personali in una sacca di tela rossa. Quando scendono con l’ascensore nella hall deserta il portiere di notte ha appena il tempo di mormorare – dietro al banco, la testa bassa – un «Mi dispiace» all’uomo che, come in trance, cammina in mezzo ai quattro carabinieri in borghese.

Fuori è buio. In via del Corso non passa nessuno. La prua dell’Alfetta punta decisa su via In Selci, sede del nucleo operativo dei carabinieri. Condotto in ufficio, l’uomo viene fatto sedere davanti a una scrivania ingombra di incartamenti. «Lei è in stato d’arresto.» «Come?» «C’è un ordine d’arresto dalla procura di Napoli.» «Ma per cosa??» «Non lo sappiamo.» Un collasso, le mani e le gambe che si fanno di ghiaccio. Quindi la ricerca di un avvocato e una telefonata alla figlia Silvia: «Ricordati “che papà è quello di sempre». L’angoscia si raggruma in “una lunga, incomprensibile attesa. I militari hanno l’ordine di aspettare mezzogiorno per tradurlo nel carcere di Regina Coeli, nessuna fretta deve compromettere la riuscita di una regia studiata da tempo. Il cellulare è stato posteggiato dall’altra parte della strada per meglio consentire a teleoperatori e fotografi di vivisezionare in tutta calma il volto del prigioniero, zoomando sulle manette che stringeranno i suoi polsi. Il tempo sgocciola. All’uomo vengono prese le impronte digitali e scattate le foto di rito: faccia e profilo. La faccia e il profilo di Enzo Tortora.”

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