Roma
Eutanasia, Cappato e il figlio della regista si autodenunciano ai carabinieri
Marco Cappato e il figlio di Sibilla Barbieri si sono autodenunciati nella caserma dei Carabinieri Vittorio Veneto: "Silenzio assurdo della politica"
Marco Cappato e il figlio di Sibilla Barbieri sono nella caserma dei Carabinieri Vittorio Veneto per autodenunciarsi sul suicidio assistito della regista.
La paziente oncologica terminale è morta a 58 anni con suicidio assistito in Svizzera, lasciando come testamento e denuncia un video autoprodotto.
Accompagnata alla morte
Suo figlio, che l'ha accompagnata come da sue volonta in questo viaggio verso la morte, si autodenuncerà, insieme a Marco Cappato, dopo aver accompagnato la donna in Svizzera, per l'assistenza al suicidio offerta alla madre. Con loro anche Marco Perduca dell'Associazione Coscioni.
"Sulla sua morte il silenzio della politica”
"La notizia della morte di Sibilla ha incontrato il silenzio della Politica che avrebbe dovuto rispondere in merito alla questione" dell'eutanasia, ha detto Marco Perduca, dell'associazione Luca Coscioni, durante la conferenza in corso presso la sede dell'associazione a Roma.
Due denunce alla Asl Roma 1 per tortura
"Insieme alla famiglia di Sibilla abbiamo presentato 2 esposti contro la Asl Roma 1: dalla sorella e dalla mamma di Sibilla e l'altro dai figli. Affinché la magistratura rilevi i reati che per noi sono violenza privata, tortura e omissione di atti d'ufficio", ha annunciato Filomena Gallo, legale difensore e segretario nazionale dell'Associazione Soccorso Civile.
"Sibilla aveva chiesto alla Asl Roma 1 ma nessuno ha risposto”
Il legale ha poi ricostruito la vicenda parlando del rapporto personale con l'attrice. "Prima di essere il legale ero una sua amica e ricordo la prima telefonata in cui ci siamo conosciute. Il cancro era arrivato ovunque: polmoni, fegato, cervello e spina dorsale. Lei ha chiamato Cappato e ha detto: devo avere le due vie possibili. Per questo ha chiesto in Svizzera, ma grazie alla disobbedienza civile di Marco Cappato posso provare anche qui - spiega -. Ha chiesto alla Asl Roma 1, ma nessuno ha risposto. Poi, dopo una sollecitazione, hanno fissato appuntamento a settembre. Mi ha chiamato piangendo e ha detto: 'forse mi hanno visto troppo bene, mi hanno proposto trattamenti per la spina dorsale, ma per il resto che facciamo?'".
Dipendente dall'ossigeno
"Ha parlato con il suo oncologo e ha richiamato poi i medici della Asl Roma 1 per chiedere un altro piani terapeutico meno invasivo", ricostruisce il legale. "Sibilla dipendeva dell'ossigeno", aggiunge Gallo spiegando che nel parere c'era scritto che "in Sibilla non era presente sofferenza, ma ovviamente perché prendeva i farmaci e lì ho ripensato alla telefonata con lei".