Roma
Garrone racconta Dogman. La rivincita del “Canaro”, dalla Magliana a Cannes
Lo stregone Garrone incanta con la sua nuova fiaba oscura
di Massimiliano Martinelli
Matteo Garrone racconta la rivincita del "Canaro", dalla Magliana fino al Festival di Cannes. "Dogman" colpisce per potenza ed intensità, ma sorpattutto sorprende e tradisce chi si aspettava un horror dal finale scontato.
Una periferia selvaggia, un protagonista in cerca di riscatto ed atmosfere a metà tra fiaba e triller. Matteo Garrone mette nel calderone pochi ingredienti ma scelti con cura, mescola e serve sulla tavola di Cannes un film forse unico nel suo genere in Italia, che ora sogna e spera nella Palma D'Oro. Il regista romano porta in scena una pellicola solo ispirata al “Canaro” della Magliana, il macabro fatto di cronanca nera che sconvolse la Capitale sul finire degli anni '80. Attorno alle dinamiche di quel terribile omicidio Garrone scava, conserva e aggiunge con sapienza. Per Garrone “Er Canaro” è un punto di partenza, non di arrivo. Di inalterato mantiene infatti quasi solamente il rapporto di potere tra i due protagonisti Marcello e Simone, fatto di dipendenza, dalla droga ma anche l'uno dall'altro, di prevaricazione e frustrazione.
Marcello è un uomo mite, tranquillo, che gestisce una toilette per cani in una periferia irriconoscibile, una landa desolata apparentemente sospesa fuori da tempo e spazio. Un luogo dove, tra slot machine e “compro oro”, il più forte deve sottomettere il più debole per sopravvivere. Lì il protagonista combatte quotidianamente la sua battaglia tra piccoli furti e spaccio, aggrappandosi alla sua umanità tramite gli amati cani che spazzola, insapona e risciacqua. Ma soprattutto grazia al rapporto con la figlia Alida, divisa tra i due genitori separati. Marcello è una persona benvoluta da tutti, che fin da subito conquista anche lo spettatore con la sua “r” arrotata e i suoi modi gentili. Suo malgrado si trova in fondo a quella “catena alimentare” dominata dall'amico-aguzzino Simone (detto Simoncino), ex pugile dedito alle rapine e alla droga che detta legge nel quartiere. Davanti all'ennesima prepotenza, ed alla prospettiva di veder crollare ciò che si era costruito, Marcello trova però un'apparente via di fuga, l'opportunità di cambiare se stesso e prendersi ciò che merita.
Ma guai ad aspettarsi la cruenta storia, ormai stranota, che per giorni ha tenuto i romani incollati ai giornali, perché si rischia di rimanere delusi. Nessuna terribile tortura, mutilazione o morte pirotecnica in vista; le scene di violenza si contano sulle dita di una mano e non costituiscono il centro della pellicola. Dogman è a suo modo un racconto unico, a metà tra sogno e realtà, che ci appare spesso privo di veri e propri riferimenti concreti. Quasi più intimo, introspettivo ed emotivo che fisico e violento. Un racconto composto da atmosfere lontane e surreali, all'interno delle quali si muovono però personaggi credibili, uomini in carne ed ossa, peccatori e piccoli criminali alla disperata ricerca di una vita migliore. Il tutto vissuto anche dagli occhi degli ospiti a quattro zampe della toilette, che ci regalano una visione privilegiata dei fatti attraverso il loro punto di vista.
Matteo Garrone ci consegna in sintesi un film che si può definire come una fiaba dark all'italiana, ambientata in una periferia improbabile dove anime gentili e consumati criminali si incontrano. Dopo “Gomorra” e “Il raconto dei racconti” allo stregone romano riesce l'ennesimo filtro d'amore, che si è guadagnato oltre 10 minuti di applausi al Festival di Cannes ed ora si prepara a conquistare anche il grande pubblico.