Roma

Gigi Proietti, Roma piange Mandrake: un'uscita di scena da maestro del teatro

La morte dell'ultimo One Man Show ancora in attività nel giorno del suo ottantesimo compleanno. Dagli esordi al botto del 1976: la storia

di Patrizio J. Macci

L’ultima mandrakata è stata uscire di scena il giorno del suo ottantesimo compleanno. Gigi Proietti, all’anagrafe Luigi Proietti, classe 1940, è stato un attore, comico, cabarettista, doppiatore, conduttore televisivo, regista, cantante, direttore artistico e insegnante. Uno degli ultimi interpreti a tutto tondo ad aver respirato il residuo barlume dei teatri scalcinati del Dopoguerra e quello delle Avanguardie.

Si potrebbe riempire un articolo solamente con le sue interpretazioni sul palcoscenico intercalate da una virgola, ma forse gli avrebbe fatto piacere sapere che lo si ricorderà per non aver lasciato eredi al pari del grande Petrolini (“io discendo unicamente dalle scale di casa mia”) e di essersi ispirato unicamente a se stesso fino a raggiungere il traguardo che lo ha portato ad essere l’unico One Man Show ancora in attività. È stato l’anima nazionalpopolare con Bruno Fioretti alias Mandrake in Febbre da Cavallo, un film destinato ad essere dimenticato dopo l’esordio in sala ma poi esploso nei circuiti delle emittenti locali.

Ma tutto era cominciato negli anni Sessanta - è stato lui a raccontarlo - “Giancarlo Cobelli mi notò mentre strimpellavo una chitarra e torturavo un pianoforte, non sapevo che la mia vita non sarebbe stata più come prima”. Svogliato studente alla facoltà di giurisprudenza molla la laurea a sei esami dal traguardo, per mantenersi agli studi cantava nei night club, ma il palcoscenico lo reclama fino al colpo di fortuna nel 1970 quando viene improvvisamente chiamato a sostituire Domenico Modugno, ufficialmente a causa di un infortunio capitatogli (ma ufficiosamente, sembra, a causa di dissapori con l'autore e co-protagonista della commedia, Renato Rascel) nella parte di Ademar nella commedia musicale di Garinei e Giovannini Alleluja brava gente: “Una botta di fortuna. Lì compresi che si poteva coniugare il teatro lucido con la qualità artistica: il cosiddetto teatro popolare”.

Il botto vero e proprio dal punto di vista della fama però arriva nel 1976 con A me gli occhi please una cavalcata attoriale dove Proietti recita, canta, balla, dialoga con il pubblico. Riempie i teatri tenda di mezza Italia negli anni bui del Terrorismo, anche nei giorni più cupi del sequestro Moro. Questa è rimasta la sua cifra attoriale per il resto della carriera, la capacità di riuscire a coniugare l’alto e il basso, Shakespeare con la direzione artistica del Globe Theatre e la poesia metasemantica di Fosco Maraini del Lonfo oppure lo sketch del “Cavalierie bianco e er cavaliere nero” recitato in dialetto romanesco che i giovani millennials guardano su Youtube senza stancarsi mai. Senza disegnare l'interpretazione televisiva del Maresciallo Rocca.

C'è un vecchio video che si spera venga dissepolto dagli archivi della Rai dove è con Gianni Minà e prende in giro Vittorio Gassman "reo" di aver interpretato magistralmente un canto della Divina Commedia in un vecchio long playing (che Proietti confessava di aver consumato a furia di ascoltarlo per imparare il mestiere). Proietti serio lo apostrofa: “Voi che fate il teatro impegnato e dite Brecht aspirando la pronuncia e vi mettete il maglione a collo alto in scena. A Frascati quando pronunciano Brechhhhhht ce se fanno un quartino di bianco se nò se strozzano”. Scherzava, ma neanche tanto.