Roma
Grillo denunciato per truffa e falso. Bufera sul codice etico
di Marco Zonetti
Continua l'assalto giudiziario al Movimento Cinque Stelle, ma stavolta Orazio Fergnani e Giorgio Vitali, già autori della querela riguardo al contratto firmato dai candidati alle amministrative, si sono spinti oltre, chiamando direttamente in causa non soltanto la Casaleggio & Associati, ma anche lo stesso capo politico dell'M5S, ovvero Beppe Grillo.
Questa volta nel mirino del procedimento vi è il cosiddetto “codice etico” fatto firmare obbligatoriamente a tutti i candidati alle varie cariche elettive, locali, regionali e nazionali. Lo stesso codice etico sottoscritto dagli attuali portavoce dell'M5S in Parlamento, insomma. Un atto secondo cui, a detta dei querelanti, l'eletto è posto costantemente sotto l'osservazione e controllo dei veri controllori e registi dirigenti le scelte e l'azione dell'eletto […] la cui capacità decisionale ed autonoma espressione viene completamente sminuita, annullata dal ferreo controllo imposto da altri non eletti e non rappresentanti la volontà elettorale espressa dai cittadini elettori”.
Alla luce di tutto ciò, i reati attribuiti da Fergnani e Vitali, amministratori del sito www.albamediterranea.com, sono ancora una volta gravissimi, fra cui attentato contro l'integrità, indipendenza e unità dello Stato; attentato contro la Costituzione; tentativo di usurpazione di potere politico; attentato contro i diritti politici del cittadino; associazione a delinquere; falsità ideologica; truffa e così via, in un crescendo di accuse circostanziate e minuziosamente argomentate. Accuse la cui fondatezza giuridica è ancora tutta da accertare nelle sedi competenti, ovviamente, ma che almeno sulla carta gettano una livida luce sul movimento che si presentava come “governato dal basso” e privo dei connotati verticistici degli altri partiti visti come la peste da Grillo e dai suoi sostenitori.
Si legge nella querela in questione che: “Gli eletti si ritrovano nel ruolo di marionette gestibili e plasmabili a piacimento non di una, ma addirittura due società private... e cioè la Casaleggio & Associati e l'Associazione Movimento 5 Stelle”. Associazione, quest'ultima, di cui Beppe Grillo è presidente e che amministra assieme al nipote Enrico Grillo, socio fondatore e vicepresidente m5s, e il commercialista Enrico Maria Nadasi, che funge da segretario.
In particolare Fergnani e Vitali rilevano che, “all'art. 4 comma della costituzione dell'associazione dell'M5S si afferma testualmente che gli eletti eserciteranno le loro funzioni senza vincolo di mandato”, affermazione che secondo i querelanti sarebbe smentita “per tabulas” dal codice etico succitato, definito dai due un “contratto capestro”, un “atto privato mai e poi mai utilizzabile per rapporti di ordine elettorale che per loro natura non possono essere contrattualizzabili, limitabili, sindacabili, vincolabili” secondo gli artt. 67 e 97 della Costituzione.
A sentire Fergnani e Vitali, dunque, tertium non datur: o è inoppugnabilmente falso il codice etico che sottopone formalmente a un “vincolo di mandato” i candidati, o è falso l'atto di costituzione dell'M5S che lo smentisce. Una “falsità ideologica” secondo i due, che “comporta come corollario sequenziale il reato di truffa per il raggiro […] ai cittadini elettori cui promette “moralità” e invece induce in errore mistificando e falsificando...”.
In attesa che la giustizia faccia il suo corso, ci si domanda cosa ne pensi Virginia Raggi, candidata a sindaco di Roma dell'M5S e a sua volta firmataria del contratto di cui sopra. Sarà per questo che rifugge i dibattiti televisivi con gli altri candidati? E se il codice sottoscritto da tutti gli eletti dell'M5S dovesse rivelarsi davvero un falso ideologico quali ripercussioni avrebbe sulle istituzioni in cui essi operano? A pochi giorni dal voto alle amministrative, il M5S sembra effettivamente far parlare di sé soprattutto per le controversie interne, il caso Pizzarotti in primis, e per le querele e i ricorsi che piovono da ogni dove.
E con una candidata a sindaco della Capitale che pare defilarsi deliberatamente dal confronto pubblico, ci si domanda se le risposte non possano essere in realtà più scomode delle stesse domande.