Roma
Guerra Ucraina e transizione energetica: Meleo: “Stiamo bruciando il Pnrr”
Linda Meleo, economista e capogruppo M5S al Comune, da oggi nuova editorialista di affaritaliani.it. “Il Pnrr deve sostenere la transizione ecologica”
di Linda Meleo
La drammatica guerra in Ucraina sta mettendo in evidenza la fragilità del mix energetico del nostro Paese e la sua forte dipendenza da fonti energetiche primarie di importazione. Questo espone inevitabilmente il sistema Paese agli effetti, da un lato, delle fluttuazioni dei prezzi dell’energia sui mercati internazionali e, dall’altro, delle crisi geopolitiche come quella purtroppo in corso e che tutti auspichiamo trovi fine il prima possibile.
Al momento, sul fronte energetico, la questione è incentrata sui rischi di riduzione o di interruzione della fornitura di gas naturale da parte della Russia. In Europa si dicono confidenti sul fatto che una contrazione delle importazioni di gas possa essere compensate dagli stock europei almeno fino all’estate. Questi stock ammonterebbero a oggi a circa il 30% della capacità di stoccaggio e sono ritenuti sufficienti a sostenere, se fosse necessario, i paesi strutturalmente legati al gas, sulla base del meccanismo di solidarietà. Rimane però il fatto che queste scorte si trovano ai livelli più bassi mai registrati negli ultimi 10 anni.
Quanto consuma l'Italia
Vediamo più nel dettaglio la questione, soffermandoci sull’Italia. Il nostro Paese è un grande utilizzatore di gas naturale, con consumi pari a circa 71,5 miliardi di m3 standard per anno. A usarne di più sono il settore residenziale e quello termoelettrico, che negli anni ha progressivamente convertito gli impianti dal carbone, molto più inquinante, al gas naturale. Esiste un fortissimo legame di dipendenza del nostro Paese dalla Russia. Importiamo gas per circa 71 miliardi di m3 standard per anno, pari al 95% del fabbisogno interno. Di questi, circa 33 miliardi provengono proprio dalla Russia e sono pari a circa il 46% del totale importato. Il 18,8% viene poi dall’Algeria, il 9,2% dal Qatar, l’8,7% dalla Norvegia, circa l’8% dalla Libia e il residuo da altre parti del mondo, tra le quali troviamo anche Giappone, Stati Uniti ed Egitto (dati 2019).
Alla luce di questo quadro, è facile intuire le preoccupazioni circa gli effetti dirompenti che l’interruzione dei rapporti di fornitura di gas dalla Russia potrebbero avere, sia sul lato produzione che sul lato consumo, in un contesto storico, peraltro, in cui l’inflazione è già aumenta principalmente a causa dell’incremento generalizzato dei prezzi delle commodities.
Gli affetti sul Pil della guerra
Il rischio è avere una brusca frenata della crescita del PIL. Crescita recentemente spinta dai fondi europei del programma Next Generation EU, strumento voluto per aiutare a superare gli effetti della crisi post lockdown legata al COVID. In altri termini, gli effetti positivi stimati per questo pacchetto di risorse e di misure, tradottosi in Italia con il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), potrebbero di fatto essere vanificati. L’aumento incontrollato dei costi per l’energia potrebbe spingere molte imprese a chiudere perché più conveniente, con ripercussioni drammatiche sull’occupazione e sul mercato del lavoro. Effetti devastanti si potrebbero avere poi a cascata sulle intere filiere, spesso composte da medie e piccole imprese, che già hanno abbondantemente subito gli effetti del COVID e che ora potrebbero, parlo di quelle sopravvissute, non sostenere un altro colpo. Sarebbe quello fatale.
In aggiunta, guardando alla bilancia commerciale, i beni prodotti in Italia potrebbero diventare ancora più costosi, determinando una perdita di competitività rispetto a Paesi meno esposti alle fluttuazioni dei mercati energetici (di fatto quelli dove esiste il nucleare), con una conseguente riduzione delle esportazioni. Si azionerebbe una spirale negativa molto pericolosa.
Questo possibile scenario potrebbe aggravare gli effetti di breve e di medio termine che già ora le famiglie, al pari delle imprese, subiscono. Gli incrementi delle bollette energetiche e l’inflazione che si vede chiaramente sugli scaffali dei supermercati causano, a redditi invariati, una riduzione del potere di acquisto, ossia della capacità di spesa, che si traduce in una riduzione della domanda che, a sua volta, impatta negativamente sul mondo delle imprese perché, detta sinteticamente, i consumatori possono comprare di meno.
A tutto questo, si aggiunge l’incertezza su quali saranno le mosse che le Banche Centrali intenderanno fare (o non fare) sui tassi di interesse, i cui rialzi sono stati paventati a più riprese per contenere un’inflazione che pare ormai assumere contorni più strutturali che congiunturali.
L'agenda del Paese va modificata
È evidente che, di fronte a questa situazione, bisogna immediatamente modificare le priorità dell’agenda politica del nostro Paese. Probabilmente, in questo momento, prima di pensare alla crescita, occorre risolvere la crisi energetica. Senza una soluzione al tema energetico potremmo vedere sfumare le rosee prospettive di crescita economica azionate dal PNRR.
Cosa fare allora? Bisogna senz’altro attivarsi immediatamente con gli interventi tampone di breve termine. In primis, come già il Governo sta facendo, promuovendo accordi sia per incrementare le importazioni di gas dagli attuali partner diversi dalla Russia con incremento dello stoccaggio, sia per aumentare le importazioni di gas naturale liquefatto (es. dal Giappone o dal Quatar). Probabilmente, valutando i costi opportunità, la scelta di utilizzare le centrali a carbone, seppur sembra stridere con la transizione ecologica, può essere un modo per creare un cuscinetto transitorio in attesa di cambiamenti strutturali che devono vedere necessariamente protagoniste le fonti di energia rinnovabile.
Questo perché in un orizzonte di medio periodo, occorre con decisione modificare l’assetto energetico del nostro Paese una volta per tutte. Occorre operare la tanto auspicata decarbonizzazione del sistema economico a favore delle fonti di energia da rinnovabili. Processo di cui si parla ormai da molti anni, ma la cui espansione è stata piuttosto lenta, prima per la mancanza di parità rispetto alle fonti tradizionali (le tecnologie rinnovabili erano molto più costose), ora praticamente raggiunta, poi per “convincere” gli operatori economici e le famiglie dei vantaggi di medio termine che l’uso di queste tecnologie possono portare, sotto il profilo economico e ambientale.
I Comuni usano progetti vecchi peril Pnrr
Bisogna poi guardare ancora in prospettiva. In questo periodo si è parlato molto del programma Italia Domani e del PNRR. Si è letto in particolare della recente diatriba aperta tra Enti Locali, in particolare i Comuni (anche Roma), e il Governo per i tempi troppo stretti fissati per partecipare ai bandi di finanziamento e per i ritardi che molti Comuni stanno accumulando nel presentare i progetti.
La sensazione è che nei Comuni ci sia stata una corsa al recupero di vecchi progetti nel cassetto, senza ragionamenti organici, ma che questa corsa non sia stata sufficiente. Produrre progetti è diventato sempre più complicato perché nel tempo i Comuni sono stati svuotati di competenze per le mancate assunzioni di personale, figlie dei vincoli di bilancio che hanno fatto da freno alle vecchie politiche dell’indebitamento facile. Non è un caso se, prendendo l’esperienza di Roma, la Giunta di Virginia Raggi, di cui facevo parte, dopo un enorme lavoro sugli equilibri di bilancio, ha voluto fortemente scorrere graduatorie di vecchissimi concorsi e bandirne di nuovi per assumere, in particolare, personale tecnico, dopo oltre 12 anni di vuoto.
Alla luce di ciò, le domande che ci dobbiamo porre sono due. La prima è se, alla luce della guerra in Ucraina, è veramente così importante spendere i fondi del PNRR per realizzare progetti, senz’altro utili, ma che in alcuni casi hanno visto la riesumazione di vecchie idee o di idee poco nuove, per mancanza di tempo. La seconda, quella più importante, è se, alla luce della crisi energetica, non varrebbe la pena rivedere le ripartizioni sulle varie missioni dei fondi del PNRR, indicando quella della transizione e trasformazione energetica come primaria in assoluto. Ossia perché non ribaltare risorse aggiuntive, rispetto a quelle già presenti, su progetti e idee che promuovano l’indipendenza energetica e quindi un taglio permanente delle bollette (per le imprese e per le famiglie, oltre che per la pubblica amministrazione)? Ritengo che avere il raddoppio di un asse stradale non servirà a rendere il nostro Paese più attrattivo per investitori e imprese se prima non abbiamo risolto il problema energetico. Si deve anche immaginare uno schema adeguato di sostegno concreto a famiglie e imprese a partire da subito che non può risolversi soltanto con 5 o 7 miliardi di azioni tampone.
In ultimo, a livello nazionale, abbiamo fatto un vero ragionamento di politica industriale alla luce della straordinaria opportunità di NGEU e Italia Domani? La mia sensazione è che non sia stato realmente fatto. E forse è arrivato il momento di pensarci sul serio.
Linda Meleo, economista e docente universitaria
Presidente Gruppo 5 Stelle Roma Capitale