Hiv, la sentenza dell'untore di Acilia. Madre morta d'Aids: conosceva i rischi
Valentino T. era accecato dai propri bisogni sessuali: il virus dell'Hiv passava in secondo piano
“Il suo unico obiettivo era il soddisfacimento dei propri bisogni ed eccessi sessuali”. Emergono nuovi dettagli sulla sentenza che il 27 ottobre scorso ha condannato a 24 anni di reclusione Valentino T., l'untore di Acilia.
L'uomo, che convincendo le proprie partner con varie scuse a fare sesso non protetto ha contagiato col virus dell'Hiv in totale 57 persone (tra contagi diretti e indiretti) "non solo ha previsto la possibilità del verificarsi dell'evento, la malattia, ma anche accettato tale evento come il prezzo da pagare".
E che Valentino T. conoscesse i rischi che la malattia portava con sé, lo dice anche la sua storia personale: sua madre è infatti morta di Aids ed è probabile che sia stata proprio lei a contagiarlo.
L'avvocato difensore per conto delle vittime, Irma Conti non è soddisfatta: “Ritengo che il dolo sia diretto e non eventuale. In assenza di una certificazione che T. si sia determinato solo per un miglior appagamento, ritengo più aderente alla 'volontà pianificatrice' il dolo diretto. Per l'epidemia - reato da cui l'imputato è stato scagionato dalla corte d'assise - auspichiamo che la Procura impugni".
Oltre alle 30 donne contagiate in maniera diretta, c'è anche un bambino nato nel maggio del 2012 e figlio di una straniera con cui l'indagato aveva avuto rapporti. Venti donne e tre uomini che avevano partecipato ad orge con Valentino T. sono invece scampati al virus dell'Hiv.
Nonostante il numero esorbitante di persone coinvolte e della gravità della situazione, l'untore di Acilia, pur dicendosi dispiaciuto per quanto accaduto, si è sempre difeso sostenendo di non essere consapevole dei danni che avrebbe potuto causare per la sua sieropositività. Ritenuto colpevole del reato di lesioni volontarie aggravate dai futili motivi e dal carattere di malattia insanabile, ha respinto la sua immagine di mostro, e ha dato la colpa ai mass media.
Eppure dal 2006 era “perfettamente consapevole di albergare il virus dell'Hiv e perfettamente informato delle cautele da adottare nei rapporti sessuali, di qualsiasi natura, per evitare il contagio”, come si legge nella sentenza. Il 33enne ha agito per soddisfare le sue pulsioni e ha collezionato una lunga serie di rapporti sessuali, anche orali, anali e a tre, “prevedendo e accettando la probabilità del contagio con il proprio virus, tanto più alta naturalmente quanto più numerosi e variegati fossero stati i rapporti sessuali con ciascun partner".
Insomma, a parere della corte d'assise, Valentino T. ha manifestato "una volontà pianificatrice, delineata anche dal dato cronologico di una condotta criminosa che si protrae per anni e che per anni vede l'imputato nascondere il proprio stato di sieropositività e ricercare, conquistata la fiducia, rapporti sessuali di ogni tipo".