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Roma
I magistrati richiusi in carcere per 15 giorni a studiare: “E' vera civiltà”
L'arresto di Enzo Tortora

La “battaglia di civiltà” come la definisce Francesca Scopelliti Tortora per inserire nella riforma della Giustizia la proposta di far “vivere” i magistrati l'esperienza di 15 giorni in carcere come completamento dell'iter formativo, è partita.

Dottoressa Scopelliti, un tirocinio da “marines” del diritto?

"Chi si avvia alla carriera di magistrato passi almeno 15 giorni in un carcere, magari in un carcere più duro come l'Ucciardone o Poggio Reale per vivere in prima persona quelli che sono i disagi della privazione della libertà in modo da educarsi alla privazione e magari pensarci prima di emettere un avviso di garanzia con la custodia cautelare, o prima di firmare una sentenza di condanna”.

 

 

Gli scritti di Sciascia e le lettere di Tortora come materia di studio?

“Sì. Per completare i soggiorni in carcere c'è un articolo che prevede che i magistrati debbano studiare come materia di concorso tutti gli scritti di Leonardo Sciascia e le lettere di Enzo Tortora. Sciascia e Tortora hanno un'affinità enorme che è sorprendente ma come Sciascia era uno scrittore fine e gentile, Tortora era un lettore fine e gentile. E i due si sono incontrati in maniera indissolubile, perché Tortora rappresentava concretamente ciò che Sciascia aveva denunciato nei suoi iscritti. Era un po' la concretezza delle sue paure e dei suoi timori e di ciò che presagiva, a tal punta da dire che se ritardiamo la riforma delle Giustizia, si arriverà ad un punto in cui non sarà più possibile riformarla.

Pensa che questa proposta possa un giorno diventare realtà?

“Non bisogna essere pessimisti, bisogna avere quello che io definisco l'ottimismo della volontà. E quindi la determinatezza dci chi ha un carattere radicale come me deve essere quello di affrontare una battaglia e vincerla. Questa è anche la scuola che mi ha lasciato Tortora, come dire: bisogna assolutamente vincere perché è una battaglia di civiltà. E ancora una volta come diceva Pannella, faccio quel che devo, accada quel che può”.







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