Il bullismo a Fiumicino si sfida a cavallo: un maneggio per ridare speranza
Tra ippoterapia e socialità: ecco come funzionano i programmi
di Diana Maltagliati
Si chiama Equitazione per Tutti e da oltre 12 anni accoglie bambini e ragazzi con disabilità motorie, psicosi infantili, disturbi del linguaggio e vittime di bullismo e violenze sessuali.
A Fiumicino, la dottoressa Claudia Vinti ha deciso di dare un'arma in più a coloro che per ragioni diverse si trovano esclusi dalla società e faticano ad integrarsi.
Da due mesi il maneggio ha aperto le proprie porte gratuitamente anche ai ragazzi del centro d'accoglienza Città del Sole: ragazzini e ragazzine profughi e rifugiati, che ancora non sono stati inclusi nelle strutture scolastiche italiane e che tentano di ambientarsi in una nuova realtà, lontani da casa.
Avvicinarsi ai cavalli diventa un gioco, un impegno e una grande opportunità: fa nascere nuove amicizie e insegna a chi solitamente deve essere accudito a causa di una disabilità a prendersi cura di un essere vivente.
Chi viene deriso e attaccato dai compagni di classe ritrova padronanza di sé e la sicurezza persa per colpa dei bulli. Ce lo spiega la fondatrice di Equitazione per Tutti, Claudia Vinti.
Oramai si parla sempre più spesso di pet therapy e di hippo therapy: da voi in che cosa consiste?
“Da quest'anno il nostro maneggio è stato riconosciuto come centro di interventi assistiti con gli animali, come da ultima normativa di 3 anni fa. L'intervento riabilitativo viene svolto da uno psicologo insieme a un'equipe multidisciplinare che programma un progetto ad hoc per ogni bambino”.
Quanti sono i ragazzi che si affidano a voi? Come funziona il progetto?
“Attualmente il nostro centro accoglie circa 140 bimbi disabili dai 3 anni in su. Abbiamo progetti che vanno dalla disabilità mentale, tra cui l'autismo che è una delle situazioni critiche, a tutto l'intervento diretto a disabilità motorie e sensoriali. Ognuno ha un suo piano riabilitativo che viene sviluppato con un lavoro di rete con la famiglia e coi professionisti che già seguono il bimbo”.
Perché decidere di fare terapia proprio con il cavallo?
“Il cavallo ha una duplice funzione. La prima è di carattere relazionale: è un animale molto empatico e che a differenza del cane, attende. Il cavallo rimane statuario e aspetta che sia il bambino a entrare in relazione con lui, ovviamente mediato dalla presenza di un operatore.
Dal punto di vista fisico, poi, questo animale dà un grandissimo beneficio grazie al suo movimento che va a ridurre tutte le rigidità motorie. Quindi inizialmente apporta un grande rilassamento fisico, posturale e muscolare, e poi l'operatore inserisce tutta una serie di esercizi di stimolazione diretti alla disabilità del singolo bimbo”.
Il rapporto con l'animale è dunque fondamentale...
“Certamente. La nostra terapia dura 50 minuti e il primo quarto d'ora è dedicato alla cura e alla preparazione del cavallo: questa fase assolve non solo a un primo approccio relazionale con l'animale, ma al concetto di prendersi cura dell'altro. Questi sono bimbi che di solito ricevono delle cure, mentre qui sono loro a doversi occupare di un essere vivente: la prospettiva viene ribaltata e l'effetto è quello di una gratificazione per il bambino, perché diventa artefice di un cavallo pulito e sellato. Inoltre tutte le azioni che deve compiere per preparare il cavallo attivano processi mnemonici, aiutano con la coordinazione... In una scuola di equitazione tutto questo viene fatto inconsciamente, da noi ogni cosa ha un micro-obiettivo”.
Non solo disabili, ma anche persone con depressione, giusto?
“Sì e non solo. Noi abbiamo iniziato con interventi specifici per i disabili, poi ci siamo adeguati all'evoluzione che purtroppo ha avuto la società. Oggi abbiamo molti interventi di tipo sociale: seguiamo bimbi che provengono dagli istituti, bimbi soggetti di bullismo o di violenza sessuale...”
In che modo l'equitazione aiuta una vittima di bullismo?
“Il fulcro del nostro intervento è quello di dare alla persona la possibilità di ritrovare se stessa e di potersi centrare di nuovo sulle proprie capacità. I soggetti di violenza smettono di credere in se stessi: il cavallo li aiuta a ritrovare sicurezza. Rinforza tutti quelli che sono i processi di autostima e di consapevolezza nelle proprie capacità. In più, il ragazzo viene inserito in un gruppo virtuoso che condivide valori come la cura del cavallo e lo sport. Per loro riserviamo attività di gruppo: più di un ragazzino condivide con altri un unico animale e bisogna imparare a collaborare e a fidarsi degli altri per portare a termine gli esercizi. Diventa necessario fare squadra e aiutarsi a vicenda.Ovviamente non si tratta solo di vittime di bullismo, ma anche di coloro che per diversi motivi hanno grandi difficoltà di integrazione”.
Infatti avete aperto le porte del maneggio anche ai bambini del centro di accoglienza.
“Sì, da 2 mesi stiamo collaborando con la Casa del Sole, accogliendo questi bambini gratuitamente. Si tratta di profughi a cui offriamo 50 minuti di socialità, di convivenza giocosa con altri bambini, 50 minuti di vita, insomma. Oltre ai bambini ci sono anche 3 ragazze che vengono da noi una volta a settimana, in tutta autonomia. Bisogna pensare che la prospettiva è quella dell'integrazione. Spesso si tratta di bambini arrivati in Italia da pochissimo, che non sono nemmeno stati inseriti a scuola. Così hanno l'opportunità di svolgere un'attività che li aiuta e li stimola, incontrando altri bambini”.
Voi organizzate anche corsi per i familiari dei bimbi con disabilità: come mai?
“Perché avevamo notato che tutta la famiglia è coinvolta nella terapia: spesso i genitori portano con sé il fratellino del ragazzo da seguire. Noi abbiamo iniziato a pensare pure a loro e soprattutto alle mamme. Il progetto “mamme a cavallo” vuole restituire a queste donne uno spazio che sia solo per loro, dato che per tutta la giornata devono correre da medici, logopedisti e psicologi per seguire i figli”.
Com'è nata l'idea di questo maneggio?
“Nasce dalla passione che ho sempre avuto per i bambini. Precedentemente ho lavorato con l'infanzia abbandonata, nelle case famiglie di Palermo da dove provengo. Poi mio nonno mi ha avviato allo sport dell'equitazione e ho notato il benessere che provavo montando a cavallo. La prima curiosità è nata lì e ho pensato di unire le due passioni della mia vita, per far provare lo stesso benessere a questi bambini. E così ho iniziato a studiare in ambito pedagogico, laureandomi in Scienze dell'Educazione e poi a unire il mio amore per i cavalli. Questo mi ha portato a frequentare il primo master di specializzazione in Riabilitazione Equestre d'Italia, che fu proposto 20 anni fa dall'Università di Firenze”.
Come è stato accolto il maneggio in una realtà come Fiumicino?
“Dalla cittadinanza è stato accolto davvero molto bene. È un luogo di aggregazione che ha dato modo a tante famiglie di conoscersi e di condividere esperienze. Qui sono nate tante amicizie durature.Dal punto di vista politico, al contrario, non è stato mai di grande interesse".
Intende che ha provato a far conoscere questa realtà, ma è stata ignorata?
“Sì, ma non ho nemmeno insistito molto in quel senso. Noi nasciamo con l'idea di no-profit, vogliamo offrire un servizio e ce la possiamo cavare da soli, grazie anche agli aiuti che ci arrivano dai privati che intendono darci una mano. Non ci interessa lucrarci, ma abbiamo l'affitto a cui pensare e poi la spesa dei cavalli, il mantenimento della struttura e lo stipendio di tutti gli operatori qualificati. Ci basta che siano le persone e le associazioni private a credere in noi, ma è un peccato perché si tratta di un'attività lodevole, sostenibile e utile per il territorio. Al momento contiamo anche tanto sul 5 x 1000. Sul sito Equitazione per Tutti si trovano tutte le coordinate per aiutarci”.
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