Roma

Il futuro di Roma lo ha scritto Ignazio Marino. Parte l'operazione recupero

“Serve un’alternativa urgente, alla palude grillina e all’ostilità leghista”. L'opinione di Andrea Catarci

di Andrea Catarci *

Il futuro di Roma esige cambiamenti radicali e il recupero di quanto di buono è stato fatto nel periodo 2013-2015, quando il Sindaco si chiamava Ignazio Marino. Ripartiamo!

Lo sgoverno della Sindaca Raggi non è più una notizia, è solo uno scontato e monotono dato di realtà. Basta limitarsi alle pagine della cronaca per avere conferme a ripetizione: dopo il pessimo quadro fornito dal rapporto dell’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici di Roma Capitale con gli inequivocabili giudizi dei Romani, dopo l’ennesimo scontro tra Campidoglio e Ama concluso con le dimissioni del sesto management in poco più di due anni e mezzo, dopo l’avvio del processo di messa in liquidazione di Roma Metropolitane con 45 dipendenti in esubero e 426 milioni di euro per l’ammodernamento delle linee A e B - stanziati dal governo nazionale nel 2017 - ancora inutilizzati, ritorna in primo piano la gestione disastrosa di parchi e giardini, che rappresentano una ricchezza inestimabile per la salute pubblica e la qualità della vita e ci rendono il comune più verde d’Europa, con 44 milioni di metri quadri e 330.000 alberature.

Il collasso della manutenzione del verde

Il bando di gara per la manutenzione verticale di 5 milioni di euro, residuo dei fondi giubilari del 2015, si è chiuso da circa due anni. A giugno è stata pubblicata la graduatoria ma i vincitori non hanno potuto sottoscrivere i contratti perché non sono stati analizzati i documenti: il risultato è che cura, manutenzione, potature, abbattimenti, sostituzioni, ringiovanimenti del patrimonio arboreo sono al palo. Certo vanno fatti i controlli relativi, sulla gestione degli appalti bisogna migliorare e non ha aiutato nemmeno il fatto che l’assessorato all’ambiente sia rimasto senza guida per sei mesi, con Laura Fiorini che si è insediata i primi giorni di settembre: però i tempi biblici non si spiegano lo stesso, visto che sul piano amministrativo i dirigenti e i funzionari del dipartimento Tutela Ambiente hanno continuato a lavorare e che la città ha sempre avuto una Sindaca in carica. Per i 4 milioni di euro destinati alla manutenzione orizzontale i tempi di presentazione delle offerte sono scaduti a giugno e si è in attesa dell’apertura delle buste, come per la riqualificazione di Villa Pamphili e Villa Borghese, gara chiusa a marzo e altri 4,5 milioni di euro in attesa di poter diventare servizi e lavoro. Infine, c’è qualche decina di milioni di euro da affidare con bandi europei, a completare un quadro d’inerzia completa che determina il peggioramento tangibile della situazione della città.

Serve un’alternativa urgente, alla palude grillina e all’ostilità leghista

La prossima settimana tornerà d’attualità qualche altra mancanza, in uno stillicidio che è figlio dell’abbondanza di disastri che sta trascinando Roma in un baratro. Indipendentemente da quanto durerà ancora, se un’altra settimana o l’anno e mezzo abbondante che manca alla fine naturale della consiliatura, la parabola del M5s alla guida della Capitale è segnata da un impietoso fallimento. Per la destra a trazione leghista la soluzione è molto semplice: si scopre l’inadeguatezza della Sindaca a conclusione del governo nazionale gialloverde e si punta tutto sulla propaganda, faticando però a nascondere la volontà di far pagare le malefatte dei pentastellati all’intera città, a cui non si vogliono riconoscere le peculiarità di Capitale e si vogliono sottrarre migliaia di dipendenti pubblici, insieme alle attività economiche collegate alla vicinanza con i luoghi della decisionalità politica. Per le forze progressiste e civiche, che nelle ultime tornate elettorali sono state in grado di riconquistare la guida dei Municipi III e VIII, è al contrario urgente distinguere la propaganda dalla politica e rimettere in moto idee, energie e progetti per il dopo-Raggi, con l’obiettivo di tutelare Roma dall’orda ostile dell’autonomia differenziata leghista e di tirarla fuori dalla palude asfissiante in cui l’ha portata il M5s. Sembra invece dominare la scena una specie di immobilismo, in parte dovuto a scarso dialogo tra le soggettività del campo democratico, in parte al timore di fare i conti con il passato recente e con i livori che porta con sé. Proviamo a cominciare a superarlo, mettendo in fila alcuni punti programmatici e un approccio costruttivo.

Prima i Municipi

Un primo elemento riguarda il ruolo attuale e quello potenziale dei quattro municipi – I, II, III e VIII - in cui il blocco progressista è maggioranza. Essi hanno una incombenza che non possono eludere: sono il pezzo che più autorevolmente e credibilmente – più delle strutture di partito, delle organizzazioni civiche e delle realtà di movimento – può alludere a un’alternativa alla giunta Raggi senza omettere dal ragionamento la sfera del governo, per il fatto che in esso materialmente si esercitano ogni giorno. Dai loro esponenti è lecito aspettarsi un’assunzione di responsabilità in ambito cittadino, a loro è corretto riconoscere una leadership all’interno dello schieramento e una maggiore “idoneità” alla prima mossa.

Basta con la damnatio memoriae del sindaco Marino

Un secondo aspetto riguarda la damnatio memoriae dell’ex giunta Marino, con i suoi 28 mesi di governo e la sua conclusione anticipata voluta dal Partito Democratico: è un ostacolo a una ridefinizione programmatica e va superata. Lo è per un motivo molto semplice: perché è più che probabile che la Sindaca Raggi non lasci nessuna eredità utilizzabile - ovvero che stia attentando sia al presente che al futuro della città lasciando i cassetti vuoti o pieni di piani sgangherati – e nel segnare una discontinuità con il suo sgoverno oltre che innovare (tanto) servirà anche riannodare qualche filo con il passato recente, opportunamente selezionato. Se facciamo due più due, aggiungendo che prima c’era Alemanno e che, pur volendo tralasciare la caratterizzazione ideologica, il suo operato è diventato inservibile per la politica quando se ne sono appropriati i tribunali, restano proprio gli anni del “marziano”. Una parziale riabilitazione politica del periodo Marino è contenuta nel libro Roma 2030 (Einaudi editore, Roma, 2019), curato dal sociologo Domenico De Masi su incarico della Camera di Commercio. In esso si procede a un esame approfondito di alcune delle principali azioni attuate, con valutazioni lusinghiere sulla chiusura della discarica di Malagrotta, sulla revisione del bilancio della città, sull’apertura della Metro C, sulla pedonalizzazione dei Fori Imperiali e di Piazza di Spagna, sui diversi piani finalizzati a riorganizzare le aziende pubbliche e partecipate. Il ragionamento può apparire convincente o meno ma, dato che il punto politico non è santificare o rimuovere, contribuisce a buttarsi dietro le spalle la damnatio memoriae e a restituire spunti da cogliere e sviluppare.

Rifiuti e trasporti, per esempio..

Se quanto accennato sopra fila, ritornare indietro con la mente non è un esercizio sterile e autolesionista; al contrario è una necessità, per riuscire a mettere a fuoco le parti da prendere per costruire il domani, per trovare basi su cui far poggiare una parte dei piani futuri. Che d’altronde non fosse tutto da buttare lo hanno dimostrato gli anni successivi, in primo luogo i disastri combinati dalla giunta Raggi nella gestione dei servizi e delle aziende pubbliche. Ne è esempio la questione rifiuti. Anche nel 2013-2015 Roma viveva una situazione di estrema problematicità, con cassonetti malridotti e stracolmi, strade sporche, immondizia accumulata. La sacrosanta decisione di chiudere finalmente la discarica di Malagrotta era recente e i contraccolpi tangibili. Ama faticosamente elaborava però un suo piano per rivoluzionare le proprie modalità sotto la presidenza di Daniele Fortini, che veniva approvato in Assemblea capitolina nel settembre 2015. L’obiettivo di raggiungere l’autosufficienza cittadina e di portare in sicurezza la gestione - attraverso, riduzione, riuso, riciclo e recupero - si basava su due linee principali: portare la raccolta differenziata al 70% e realizzare gli “ecodistretti”, per la trasformazione in prodotto industriale dei rifiuti raccolti attraverso 300 milioni di euro di investimenti. Da qui si deve ripartire, evitando la trappola di chi vorrebbe usare i fallimenti odierni per ritornare al modello devastante delle discariche e degli inceneritori.

Un discorso solo parzialmente diverso vale per i trasporti e Atac, l’altra azienda pubblica di cui Roma Capitale è proprietaria al 100%, come in Ama. Non si può certo dire che ci fosse un’efficiente rete di trasporto, un parco veicoli moderno e un servizio di qualità. Né che la consapevolezza di quanto Atac avesse bisogno di una profonda azione di moralizzazione, del rinnovamento del management e di una radicale opera di trasparenza, fosse riuscita a produrre miglioramenti significativi, tanto che già in occasione del bilancio 2014 si affacciava lo spettro del fallimento. Eppure i caposaldi di quella stagione vanno recuperati entrambi, sia la stella polare del coordinamento tra i diversi sistemi del trasporto pubblico locale – metro, bus, tram, treni regionali – che una ulteriore edizione della “cura del ferro”, che non erano allora piani articolati e dettagliati e devono esserlo presto, anche uscendo dal punto morto in cui è stata portata la metro C con l’esaurirsi di fondi e progetti e optando decisamente per interventi di riuso e ammodernamento delle infrastrutture esistenti e di quelle del passato, che a Roma possono dare molto.

Il bisogno di un nuovo “federalismo municipale”

Si prevedeva inoltre di avvalersi di auditor esterni, ignorando il ruolo fondamentale che nel miglioramento dei servizi pubblici avrebbero potuto rivestire gli auditor interni, i Municipi. Sul “federalismo municipale” si è fatto poco in generale ed è stato un grave errore. Responsabilizziamo i municipi decentrando i rapporti operativi con la Polizia Locale, con Ama, Atac ed Acea, incarichiamoli di concordare preventivamente degli standard qualitativamente accettabili, di esercitare il controllo successivo, di promuovere la partecipazione diffusa a tali processi, di adire a risarcimenti danni per la collettività. Chiediamo ad essi di coniugare la rigenerazione urbana con la necessità di servizi, cultura, case e scuole. Affidiamo a essi le entrate degli oneri a scomputo e dei piani urbanistici per assicurare le necessarie opere pubbliche. Decentriamo la gestione della pubblicità, promuovendo centralmente regole e indirizzi e concordando territorialmente i piani di localizzazione, con trasparenza e innovazione tecnologica. Mettiamoli alla prova questi municipi, se falliscono si possono riportare indietro nel tempo fino alle vecchie delegazioni ma prima misuriamone le potenzialità in concreto sul terreno politico-amministrativo.

Questione di metodo: stare sul merito

Si potrebbe continuare, ricordando le poche cose contraddittorie prodotte in tema di gestione del patrimonio e di riqualificazione urbana, o gli errori compiuti nella gestione del personale che hanno avuto una ripercussione negativa sulla qualità dei servizi educativi e alla cittadinanza, traendo i dovuti insegnamenti. Non è però in questa sede che si deve procedere a una trattazione esauriente. Qui si vuole solo aggiungere una segnalazione, su cosa va accuratamente evitato: ritornare su torti e ragioni di allora come se fossero questioni di attualità perché non lo sono più. La maggioranza viveva una fase di difficoltà, con sconquassi interni che avevano portato a avvicendamenti rilevanti in giunta, surreali vicende giudiziarie del primo cittadino (concluse infatti nella classica bolla di sapone), l’ostilità palese del governo nazionale a guida Matteo Renzi e una distanza dalla città che, malgrado uno zoccolo duro di sostenitori, sembrava diventare ogni giorno più consistente. I vertici del Pd romano e nazionale decidevano di mettere fine a quell’esperienza ricorrendo a un atto insieme vigliacco e autoritario, cioè con le dimissioni di massa dei consiglieri davanti a un notaio: nessuno si convincerà oggi e ammetterà di aver sbagliato.

Occorre limitarsi a riprendere quanto di buono è stato fatto e contaminarlo con idee e strategie innovative per il rilancio, Roma ne ha un impellente bisogno, come di un lavoro di squadra con la Regione Lazio e il governo nazionale, che non può continuare a negare un adeguato status finanziario e normativo alla Capitale. Essa, con una superficie che supera i 1.285 chilometri quadrati, comprende nel proprio territorio le otto maggiori città italiane, Torino, Napoli, Reggio Calabria, Firenze, Milano, Bologna, Genova e Bari, che insieme arrivano a 1.267. Ha una popolazione superiore a quella di undici dei venti enti regionali. In una logica di razionalizzazione degli interventi e delle risorse, una seria riforma istituzionale dovrebbe rimettere al centro la questione romana ed il tema della ridefinizione di numero e dimensioni delle attuali regioni.

Ripartiamo! Ripartiamo da queste poche certezze per trovare i fondi da investire in interventi di sostegno al lavoro, alla nuova imprenditoria, al reddito, alla cura del territorio, al diritto all’abitare, contaminiamoci con le sofferenze della città, con le sue esperienze resistenti alle crisi stratificate, con le sue sacche di innovazione che attecchiscono malgrado il contesto, con le vitali soggettività culturali, sociali, politiche, economiche. Ripartiamo.

* Andrea Catarci, Movimento Civico