Roma

Il giornalismo prima dei social: l'epoca d'oro era con la macchina da scrivere

“Piccoli tasti, grandi firme”, il racconto del mestiere del giornalista prima dell'arrivo di internet

di Patrizio J. Macci

L’epoca d’oro del giornalismo italiano (1950-1990) raccolta in un volume fotografico curato da Luigi Mascheroni, “Piccoli tasti, grandi firme” (La nave di Teseo). Il volume nasce come catalogo di una mostra ma è molto di più perché racconta “il mestiere” prima dell’arrivo di internet e dei social network, quando gli articoli si scrivevano sui taccuini e poi venivano dettati al telefono.

 

Per chi era in redazione c’erano le macchine da scrivere Olivetti, un posacenere e la memoria personale. Dai corridoi di quelle redazioni vocianti e fumose, fanno capolino alcuni dei nomi che il lettore leggeva in prima pagina: Dino Buzzati, Camilla Cederna, Enzo Biagi, Giorgio Bocca, Indro Montanelli, Giovanni Guareschi, Oriana Fallaci, Goffredo Parise, Mario Soldati, Pier Paolo Pasolini, Gianni Brera, Beppe Viola. Giornalisti-scrittori e viceversa, perché le notizie non erano solo spiegate e interpretate ma soprattutto raccontate con uno stile che era spesso quello dei grandi romanzieri di giorno scriveva articoli e la notte progettavano romanzi, come fece Buzzati con Il deserto dei Tartari.

Erano tempi in cui pubblicare le prime foto a colori della luna, che la Nasa avrebbe distribuito in USA tre o quattro giorni dopo il rientro dell’equipaggio dell’Apollo 1, voleva dire realizzare lo scoop dell’anno. Non bastava un clic del mouse per inviare in redazione una foto a colori: e allora via con il racconto di come il settimanale Epoca riuscì a battere di 24 ore l’Europeo. Il volume è ricco di racconti di questo genere, appassionanti e oramai leggendari.

Senza il Digitale le giornate lavorative erano molto più pesanti, i tempi molto più lunghi, e i servizi più complicati. Eppure, quelli erano quotidiani creativi, ricchi di servizi pensati e scritti benissimo, e venduti in centinaia di migliaia di copie. Erano i tempi d’oro del nostro giornalismo, quello che coincide con la diffusione e l'uso delle macchine da scrivere portatili.

Un’epoca segnata dalla nascita di testate "rivoluzionarie", sia per la grafica sia per l'impostazione del lavoro (Il Giorno ad esempio, che nasce nel 1956) che giocano un ruolo fondamentale nella battaglia delle idee civili e politiche: il Manifesto, Il Giornale, la Repubblica tutti nati negli anni Settanta. E decine di altri fogli, periodici, quotidiani del pomeriggio, da Paese sera a La Notte di Nino Nutrizio. La cronaca di costume di Camilla Cederna, la polemica politica di Giovanni Guareschi e Indro Montanelli, le inchieste di Giorgio Bocca e Enzo Parise, la cronaca culturale di Mario Soldati, l’impegno “corsaro” di Pier Paolo Pasolini, l’epica sportiva di Giovani Arpino e Gianni Brera, le interviste ormai storiche di Oriana Fallaci. Poi ci sono i “colleghi” che non usavano la macchina per scrivere, ma carta, gomma da cancellare, forbici e matita; a loro il curatore dedica un’attenzione di rilievo. Le impaginazioni erano fondamentali per il successo di un prodotto editoriale: la prima pagina de Il Messaggero sulla discesa dell’uomo sulla Luna del 21 luglio 1969 è esposta nella sezione grafica del MoMa di New York. Gli artigiani della grafica italiani brillavano per capacità e immaginazione.Sembra sia passato un secolo, invece sono gli stessi giornali che ogni mattina è possibile trovare in tutte le edicole. La forma è la stessa, è la sostanza che è mutata, troppo spesso, in peggio.