Roma

Il Pecorino Dop perde la battaglia: il Cacio Romano vince in Cassazione

La Cassazione ha ribadito quanto deciso anche in Appello: i due formaggi sono diversi e quindi il Cacio Romano potrà continuare a usare questo marchio

Nella singolare guerra tra i formaggi Dop del Lazio il Pecorino Romano ha perso la sua battaglia: il Cacio Romano ha vinto in Cassazione e quindi potrà continuare a usare il suo marchio. Secondo la Suprema Corte, infatti, i due formaggi sono diversi per nome e caratteristiche, quindi l'uso di “cacio romano” come marchio è lecito.

E bisogna dire che il Cacio Romano ha rischiato: in primo grado i giudici avevano dato ragione al Pecorino, tanto che molte forme erano state sequestrate e al Caseificio di Roma era stata vietata la vendita. La sentenza era poi stata ribaltata in Appello nel 2018. Ora la Cassazione ha confermato la sentenza d'appello, ribadendo le differenze tra i due prodotti già puntualizzate dalla sentenza d'Appello.

Le differenze tra i due formaggi

Le sentenze di Appello e Cassazione ha affermato che non c'è rischio di confondere i due formaggi. I nomi non sono assonanti ed è diversa anche la preparazione, il sapore e le caratteristiche dei due formaggi. “Il Pecorino dop come un formaggio aromatico e piccante, stagionato, impiegato essenzialmente come formaggio di grattugia, prodotto con latte di pecora” scrivono i giudici. Il Cacio Romano, invece, è un “formaggio dolce, semistagionato, che richiama la caciotta a pasta molle di latte anche vaccino, che non si può grattugiare ed è quindi impiegato solo come formaggio da tavola". Inoltre i giudici hanno tenuto conto del fatto che il marchio del Cacio Romano è stato registrato nel 1991, mentre il Pecorino ha ricevuto la denominazione Dop solo nel 1996.

Consorzio di tutela del pecorino romano: “Siamo amareggiati”

La decisione degli ermellini non ha lasciato soddisfatti i sostenitori del Pecorino Romano. “Una decisione che ci lascia molto amareggiati - ha detto Gianni Maoddi, presidente del Consorzio di tutela del pecorino romano - si vanificano così tutte le attività dedicate a spiegare al mondo il valore delle nostre eccellenze e il loro impatto sulle filiere, con una sentenza frettolosa che butta via anni di sacrifici e di duro lavoro”.

È intervenuto anche Cesare Baldringhi, presidente di Origin Italia: “La sentenza degli ermellini scardina tutti i progressi fatti nella protezione delle Indicazioni Geografiche – ha detto - che quotidianamente combattono con prodotti che sfruttano la loro notorietà e traggono in confusione i consumatori. Tale decisione rischia pertanto di indebolire l’intero sistema, già oggetto di continui attacchi da parte di imitazioni estere”.