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Roma
Il turismo in mani straniere e il Fisco ci rimette 2 mld ogni anno. L'industria che non c'è
Turisti a Roma

Recenti dati sul turismo in Italia descrivono una situazione più che rosea: dopo aver raggiunto i numeri pre-Covid, il trend positivo continua promettendo un 2024 ancora più strepitoso, con previsioni di oltre 216 milioni di presenze. Gli stranieri sono tornati a rappresentare la maggioranza dei turisti in Italia, arrivando nel 2023 al 52,4% del totale degli arrivi. Ma è veramente tutto oro quello che luccica? Cerchiamo di capire.

Il report Horvath 2024 offre una visione chiara del settore alberghiero in Italia e delle sue caratteristiche. La maggior parte degli hotel italiani è affiliata a società estere, una tendenza che si rafforza di anno in anno. Questo determina conseguenze che meritano un approfondimento. Nel settore dell’hotellerie le catene estere dominano il mercato. I primi gruppi italiani si posizionano solo al settimo e ottavo posto (Th Resorts e Gruppo Una) mentre i primi gruppi esteri – come Bwh Hotels, Marriott International e Accor – hanno dimensioni doppie rispetto alle più importanti catene nazionali, in termini di numero di hotel e camere disponibili.

Scarsi investimenti col sistema delle affiliazioni

Complessivamente, il 60% delle camere in Italia è affiliato quindi a società estere: ma questo è un bene o un male? Le affiliazioni non prevedono quasi mai investimenti diretti nel settore, ma solo brand network su strutture già esistenti. Nel 2023 il settore alberghiero ha generato 30,5 miliardi di euro di ricavi (fonte: Deloitte – Federalberghi), di cui 18,3 miliardi relativi a strutture in affiliazione estera. Il valore delle fee pagate all’affiliante è pari ad almeno 2,7 miliardi (15% del fatturato), tassati prevalentemente all’estero. Il gettito fiscale perso è stimabile in almeno un miliardo di euro l’anno. Ugualmente, le prenotazioni tramite Online Travel Agencies (Ota, quasi tutte estere) valgono il 67% delle vendite di camere (fonte: Blastness) e generano fee che riducono ulteriormente il gettito fiscale in Italia di circa un altro miliardo di euro l’anno. Quindi il costo del nostro assetto del settore turistico-alberghiero per il sistema Paese può essere stimato in una perdita di circa 2 miliardi annui di entrate per il fisco.

Manca un player nazionale del settore

Se il turismo è il petrolio dell’Italia (frase ormai retorica ascoltata in dibattiti e interventi pubblici), perché in questo settore il nostro Paese non è mai riuscito ad avere un ‘campione nazionale’, cioè un operatore leadernel suo mercato e all’estero? Peraltro, avendo l’Italia un’invidiabile reputazione nel settore del turismo e dell’accoglienza, non è difficile immaginare che questo ‘campione nazionale’ avrebbe facilmente successo anche nel contesto internazionale, nello stesso modo in cui ciò avviene in altri settori che beneficiano ugualmente del valore dell’italian lifestyle.

Perché il capitalismo nazionale è assente?

Nonostante questo potenziale, il capitalismo nazionale fatica a emergere nel settore turistico. Non ci sono vincoli culturali o economici che impediscano lo sviluppo di un operatore turistico nazionale di rilevanza internazionale, ma manca una strategia Paese efficace per consolidare e sviluppare l’offerta turistica italiana. Abbiamo un importante operatore internazionale nel settore dell’energia – nonostante non disponiamo di petrolio – e non riusciamo ad avere un competitor internazionale nel settore turistico, pur essendo al quinto posto nella classifica degli arrivi dall’estero. In questa situazione il turismo lascia ben poca ricchezza in Italia, ma il 100% delle esternalità negative che i cittadini delle località turistiche ben conoscono. C’è forse materia per una profonda riflessione da parte del Governo, non limitata all’ambito strettamente turistico bensì soprattutto a quello di visione Paese e di corretto utilizzo delle risorse nazionali.

Paolo Rubini, Professore di Economia del Turismo, Università La Sapienza di Roma


 







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