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Roma
Il villino di via Ticino 3 raso al suolo: cronaca di una morte annunciata

di Sergio Moschetti

 

Se non fosse uno dei tanti tragici episodi della quotidiana lacerazione del patrimonio urbanistico di una tra le più belle città del mondo, potrebbe sembrare un capitolo del romanzo di Gabriel García Márquez, Cronaca di una morte annunciata,  nel quale la tragica vicenda di Santiago Nasar diviene un tormentone senza fine che si consuma nella totale indifferenza collettiva.

Ma qui non si tratta della uccisione di un uomo, forse innocente, ma del requiem pronunciato nei confronti di un villino che dal 1930 contribuiva all'armonia architettonica della zona, divenendo parte essenziale di un complesso che ha reso il quartiere Coppedé uno luogo unico e magico all’interno della città.  

Lunedì 15 il corpo, il villino sito in via Ticino 3, era già stato avvolto in un sudario lattiginoso per sottrarlo alla vista di ogni cittadino e consentire agli operatori di una morte annunciata di iniziare indisturbati una distruzione alla quale conseguirà la costruzione di  un edificio di moderna concezione che ospiterà, si dice, appartamenti di lusso, garage e servizi, nel trionfo della più arida e retriva ragione speculativa. Si dice, in quanto il progetto non è dato da conoscere essendo affissa alle porte del cantiere solo l’indicazione che l’area recintata sarà impegnata sino al dicembre 2018 con facilmente intuibili disagi agli abitanti della zona.

Si interrompe in tal modo la continuità architettonica che in una  percezione unitaria e di insieme di indiscutibile pregio storico e artistico, realizzava un percorso che iniziava proprio da via Ticino al villino ora abbattuto, costeggiava l’insieme di ville costruite per l’indimenticabile tenore Beniamino Gigli, proseguiva con le palazzine di via Brenta sino a entrare nel trionfo scenografico rappresentato della piazza Mincio con al centro la Fontana delle rane, circondata dai palazzi più fantasiosi quasi onirici dell’immaginifico Gino Coppedè. Un angolo di Roma unico, meta costante di turisti, dalle forme  bizzarre, ricco di decori del bestiario rinascimentale, armonico miscuglio di influenze del Liberty e dell’ Art Decò, con contaminazioni che si richiamano all’arte greca, al gotico, al barocco, al medievale.

Eppure tante voci si sono sollevate per scongiurare questo scempio: da Vittorio Sgarbi ad Italia Nostra, da architetti a comitati civici e singoli cittadini nel tentativo di coinvolgere la Direzione generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio e la Soprintendenza Speciale di Roma impegnando anche il Ministero di accertare la sussistenza dell'interesse storico-architettonico dell'immobile. A nulla sono servite le richieste di intervento del ministro  Franceschini o la presenza di Fratelli d’Italia che il 15 si era schierato con le sue bandiere di fronte al villino già condannato.

Tutto inutile tanto che il villino è stato praticamente abbattuto e, trascorso qualche giorno, piano piano, la polvere dei calcinacci lascerà il posto al silenzio  sul crimine ormai consumato.

Un silenzio inaccettabile che va riempito dall’urlo di chi rivendica il diritto di far luce sulle responsabilità di chi ha dato le autorizzazioni necessarie, di chi non è intervenuto per bloccare la demolizione,  di chi ha approvato il progetto e e gli organi amministrativi preposti che l’hanno votato, dei massimi esponenti del Comune che anche in questa occasione sono stati silenti e latenti.

Questo è dovuto per senso di responsabilità e per rispetto di chi ha costruito nel tempo quell’armonia ora violata dalla speculazione; vengano accertate le responsabilità e se violazioni ci sono state si imponga la ricostruzione o, in alternativa, l’area su cui sorgeva al numero 3 il villino di via Ticino  venga destinata a verde pubblico e parco giochi intestato, ovviamente, a Gino Coppedè.

 

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