Roma

Il virus ha ucciso lo sport e l'intrattenimento: palestre e piscine deserte

Francesco Giro: “Insostenibile la serie di stop&go voluti dal Governo per lo sport. E le misure non bastano”

di Francesco Giro

Nella bufera del Covid il settore che certamente ha sofferto di più è quello del tempo libero e dell'intrattenimento nel quale è compresa la ristorazione, le attività culturali, il turismo e lo sport.

È il mondo che tutti gli studi della sociologia moderna e della psicologia sociale considerano centrale nell'organizzazione di una comunità umana per una più equilibrata distribuzione dei tempi di vita, di cura familiare e di lavoro. Si tratta peraltro di una filiera economico-produttiva molto lunga con un indotto assai vasto. Basti pensare all’agroalimentare per i ristoranti; alle attrezzature e alla loro ordinaria manutenzione per le palestre;  al settore florovivaistico per gli eventi pubblici e le cerimonie.

In questo mondo lo sport è certamente il grande malato a causa della pandemia. Alcuni numeri che ci aiutano a comprendere ciò che è stato, e ciò che stenterà a tornare, dopo l'emergenza sanitaria di questi ultimi mesi: in Italia lo sport fattura ogni anno 12 miliardi di euro, una ricchezza prodotta dal lavoro di 100mila centri sportivi (palestre, piscine, campi) che sono l'anima dell’intero sistema che impiega fino a un milione di lavoratori. Per il 2020 si stima una perdita secca del 70% rispetto all'anno precedente, pari a 8,5 miliardi, e nel 2021 i danni stimati si aggirano al 60% ovvero un azzeramento dei profitti nel biennio post-Covid. Ciò che si deve poi considerare è l'ampia platea di persone che partecipano alle attività promosse dal mondo sportivo, 20 milioni, una cifra enorme. Essendo le famiglie italiane circa 20 milioni, ciò vuol dire che mediamente in ogni famiglia italiana almeno un soggetto pratica dello sport. E questo dato dimostra il notevole valore sociale, oltre che economico, dello sport per la sua presenza così diffusa e capillare nel territorio nazionale.

I molteplici decreti del governo hanno destinato agli operatori bonus inizialmente di 600 euro, poi incrementati da novembre a 800. Per le società dilettantistiche è stato previsto un fondo di 50 milioni di euro, per l'impiantistica di 5. Misure assolutamente insufficienti. Ma ciò che è sembrata insostenibile è la politica dello “stop and go” scelta dal governo verso i centri sportivi. Se per la ristorazione, pur gravemente penalizzata anch'essa dal caos normativo del governo, sono state comunque assicurate sporadiche aperture e se per il settore delle attività culturali, in particolare quello cinematografico, i ristori sono stati significativi, al contrario per lo sport, per le piscine e le palestre, il verdetto è stato la chiusura indiscriminata in tutte le regioni e senza alcuna distinzione, al di là dei dati della curva epidemiologica rilevati nei diversi territori comunali e regionali. Ma ciò che è sembrato incomprensibile è la chiusura totale sopraggiunta il 25 ottobre, solo una settimana dopo l'annunciato controllo dei centri sportivi predisposto dal Ministero della Salute attraverso le autorità locali. È sembrato quasi un pretesto per annunciare la chiusura totale sopraggiunta appunto allo scadere della settimana di controlli effettuati ovviamente a campione.

Eppure la stragrande maggioranza dei centri avevano investito risorse anche ingenti per riorganizzare il lavoro dei loro operatori e ripensare in modalità anti convid l’utilizzo degli spazi: l'organizzazione degli spazi negli spogliatoi e nelle docce per mantenere il dovuto distanziamento; la regolamentazione dei flussi, gli spazi di attesa, l'accesso alle diverse aree, il posizionamento di attrezzi e macchine, la disinfezione periodica degli spazi e di tutti gli attrezzi, il monitoraggio del microclima con areazione naturale, impianti di ventilazione, pacchi di filtraggio. Insomma una serie interminabile e meticolosa di regole per contrastare il contagio e l'insorgere di possibili focolai. Dopo il blocco totale di marzo-maggio, lo sport aveva riaperto i battenti il 25 maggio e i nuovi protocolli sanitari sembravano funzionare. Nessuna piscina, palestra e campo sportivo è risultato focolaio di contagi. L'incidenza era al di sotto dell’1 per mille. Eppure tutto è stato richiuso a fine ottobre e con quella beffa, a cui abbiamo fatto cenno, dei controlli svolti a campione nell'arco di una settimana con il risultato poi di abbassare tutte le saracinesche. A Roma e nel Lazio lo sport è forte, poggia su una tradizione di prestigio e grandi meriti e rappresenta un luogo di aggregazione sociale forse unico. I numeri sono eloquenti: nel Lazio a gennaio 2021 sono certificate 2369 associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali (calcio, tennis e nuoto le federazioni più rappresentative); 234 quelle affiliate alle discipline sportive associate e ben 4653 le associazioni dilettantistiche affiliate agli enti di promozione sportiva. Una realtà quindi diffusa che coinvolge.

Oltre mezzo milione sono gli iscritti laziali solo alle federazioni nazionali e alle discipline sportive associate. Un numero che aumenta in modo consistente superando il milione di unità considerando anche gli aderenti agli enti di promozione sportiva. Ecco perché è fondamentale sostenere questo mondo con poche ma concrete iniziative: 1) un contributo a fondo perduto per le associazioni e le società sportive dilettantistiche; 2) un fondo straordinario per l'impiantistica sportiva; 3) deduzione o detrazione fiscale delle spese per l'iscrizione ai centri sportivi per tutte le fasce d’età; 4) nuovi e cospicui finanziamenti per la promozione e la diffusione dello sport nelle scuole primarie e secondarie, pubbliche e paritarie.