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Roma
Implosione Velodromo, la sentenza per disastro ambientale. C'era amianto

di Valentina Renzopaoli

Amianto all'ex Velodromo dell'Eur: il processo per disastro colposo arriva a sentenza. E' previsto per martedì 27 settembre il pronunciamento del giudice della Sesta Sezione del Tribunale di Roma.

Filippo Russo, dirigente dell' Eur spa, unico responsabile del procedimento ai tempi in cui la partecipata da Tesoro e Comune era guidata da Mauro Miccio come amministratore delegato e da Paolo Cuccia come presidente, rischia la condanna per un reato pesantissimo, quello di disastro colposo. Filippo Russo nel 2011 ha lasciato Eur Spa.
Nel processo sono costituite parte civili l'Osservatorio Nazionale Amianto, l'Associazione Codici, il Comitato per l'accertamento delle verità sulla presenza di amianto nell'area dell'ex Velodromo, l'Associazione Earth, e un gruppo di residenti dell'Eur.

La vicenda comincia il 24 luglio 2008 giorno in cui, la struttura costruita per le Olimpiadi del Sessanta, venne fatta implodere con 120 chili di tritolo. L'esplosione  fece saltare in aria quattro tonnellate di materiale contenente amianto.

La demolizione dell’impianto era stata decisa sotto la giunta del sindaco Gianni Alemanno. Nel progetto pensato dall’Eur Spa si prevedeva la costruzione di una parco acquatico, la così detta Città dell’Acqua. Ma i lavori non sono mai partiti e i comitati di cittadini denunciarono che unico scopo della demolizione era ottenere il cambio d’uso della struttura per poi edificare otto palazzine residenziali.

Dopo alcuni anni di indagini si arrivò al rinvio a giudizio di Filippo Russo, unico imputato, sul cui capo pende l’accusa di disastro ambientale. Il processo iniziò il 12 febbraio 2013.
Secondo la tesi accusatoria, Filippo Russo “nella qualità di direttore dei lavori dell'Eur Spa, incaricato di dirigere la demolizione del Velodromo” è colpevole di aver “omesso di esercitare i dovuti controlli perché la nube sprigionatasi dalla demolizione, contenente, polveri di amianto, si spandesse nell'area abitata circostante, faceva sorgere una situazione ci concreto pericolo per l'incolumità e la salute della popolazione residente (pericolo derivante dalla inalazione di polveri di amianto con azione cancerogena)”. In particolare “prima di procedere alla demolizione” avrebbe omesso di  “verificare sui progetti e documentazione allegata se vi fossero nel corpo del Velodromo e in prossimità dei pilastri in cui dovevano essere posizionate le cariche esplosive, tubature o condotte in amianto o cemento amianto, effettuando invece una mappatura esterna superficiale, cosicché le polveri dell'esplosione si diffondevano nell'aria”.
“L'esplosione del velodromo, incauta, ha determinato l'esposizione ad amianto di circa 10mila cittadini romani, che si sarebbe potuta e dovuta evitare, poiché per i prossimi venti, trenta e quarant'anni, c'è il rischio di insorgenza delle classiche patologie asbesto correlate, tra le quali il tumore polmonare e il mesotelioma”, spiega l'avvocato Ezio Bonanni, presidente dell'Osservatorio Nazionale Amianto che per primo presentò l'esposto in Procura.
“Il mesotelioma, tumore quasi sempre mortale, è provocato solo dall'amianto, e sono sufficienti poche fibre per determinarne l'insorgenza, anche dopo decenni. Ecco perché l'unico strumento per proteggersi è evitare ogni forma di esposizione. Quindi, poiché il rischio è concreto, è necessario che i cittadini che sono stati esposti ad amianto vengano sottoposti a dei periodici controlli sanitari, in modo tale da porre in atto la più tempestiva terapia. Inoltre, a nostro giudizio, sarebbe necessaria una vera e propria indagine epidemiologica. L'Osservatorio nazionale amianto proporrà anche una serie di azioni giudiziarie nei confronti di tutti responsabili per i danni subiti singolarmente dai cittadini che sono stati esposti ad amianto per via dell'esplosione del velodromo”, conclude l'avvocato Bonanni.

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