Roma

Jamal Taslaq, l'uomo che ha vestito Rania di Giordania alla sfida del barocco

Moda: alla Coffee House di Palazzo Colonna, la sfilata di Taslaq. Il lusso e il gusto arabo si raccontano

di Tiziana Galli

Jamal Taslaq, il palestinese che crea abiti come per magia sfila a Palazzo Colonna e porta il mondo arabo tra le raffinatezze barocche del palazzo nobiliare romano. Oriente vs Occidente: vizi e virtù a confronto. E' la contaminazione della moda.

E’ un programma ricco e variegato quello previsto dalla Coffee House di Palazzo Colonna per la serata del 26 giugno, un’occasione creata appositamente per il fundraising di “Mondo Solidale Onlus” che avrà come acme la passerella di una ventina di capi dello stilista palestinese. Nato nella città di Nablus nel 1970, Jamal Taslaq ha studiato moda a Firenze e ha aperto a Roma, in via Ludovisi, il suo atelier. “Ho un debole per Roma” afferma lo stilista “perché il suo tessuto storico riempie i miei ricordi dell’infanzia, ma sono grato a tutta l’Italia perché mi ha dato la possibilità di realizzare il mio sogno nell’alta moda”.

In quale modo Roma popola i suoi ricordi di bambino?

“Io vengo da una città romana della Palestina che si chiama Nablus e che è ricca di reperti archeologici, ha anche un anfiteatro, da piccolo, quando giocavo a nascondino nel giardino di mio nonno ricordo che mi nascondevo dietro i sarcofagi. Per me vivere nella storia e nello splendore di Roma è una cosa naturale: fa parte del passato, ma è anche la chiave del futuro”.

La sua ispirazione estetica è al centro tra Oriente e Occidente. Cos’è la bellezza per lei?

“La bellezza per me non ha confini, è una sensazione, un’immagine che attraversa il tempo e le latitudini. E’ qualcosa che appartiene a tutti”.

Da cosa trae ispirazione?

“Dalla natura e dalla cultura. Dell’Oriente amo la magia, dell’Occidente la raffinatezza. Mi piace mischiare questi due aspetti che alla fine si uniscono in un unico mondo portando splendore. Tutto è nato in Oriente: basti pensare alla seta, ai tappeti, alla lavorazione del vetro e delle porcellane; gli stessi tessuti che usiamo nell’alta moda, come ad esempio il damascato o la mussola vengono da lì. L’occidente ha portato tutto a perfezione”.

Una donna per essere bella cosa deve avere?

“Un carattere deciso”.

Lei ha vestito Rania, la regina di Giordania. Com’è vestire una regina?

“E’ vestire una vera donna”.

Perché?

“Perché le regine o le principesse, sono donne che portano un grande nome, ma sono persone semplici, umili. Finché non le conosci ti sembrano irraggiungibili, ma quando le hai vicino ti accorgi che sono umane”.

Lei ha vestito anche Patty Pravo, Sharon Stone, Ornella Muti e altre grandi donne dello spettacolo. Nel vestirle, che differenza c’è tra una regina e una star?

“Una regina è consapevole del suo ruolo e conosce con precisione i limiti di eleganza e sobrietà che devono essere rispettati; una grande star non ha limiti, la cosa importante è che si parli di lei. La regina non ha bisogno che si parli di lei”.

Lei ha clienti in tutto il mondo, ha sfilato persino all’Onu, con quale clientela si sente più in sintonia?

“Con quella europea, anche se vengo dal medio-oriente. E’ un po’ buffo ma è così”.

E come mai?

“Perché la clientela europea ti ascolta, vuole il consiglio dello stilista, invece quella medio-orientale è un po’ capricciosa ed è sempre alla ricerca di qualcosa in più.

In che senso?

“Le donne vogliono avere sempre qualcosa in più della sorella, della cognata o della suocera”.

E in Europa non è così?

“No, è diverso: in Oriente è la competizione tra donne a motivare la ricerca di bellezza, invece in Occidente la donna si fa bella anche per l’uomo”.

Quando parliamo di Oriente a quali posti ci riferiamo nello specifico?

“Soprattutto ai Paesi del Golfo, tipo Dubai, o l’Arabia Saudita. Sono Paesi che ora si stanno liberando ma questo è un processo lungo: lì, nei matrimoni, uomini e donne vivono ancora in aree separate, quindi la competizione delle donne è diretta verso le altre donne. Diversamente, in Europa la donna trae forza facendosi bella davanti all’uomo. In Giordania, in Libano, in Siria e in Palestina la cultura è più mediterranea, più easy, ma nei Paesi del Golfo la donna vive ancora in una cultura chiusa, il loro mondo è sempre separato. Diciamo che il vero harem ancora esiste”.

Tutto questo indipendentemente da quante mogli abbia un uomo?

“Non c’entra niente quante mogli abbia un uomo, è un modo di vivere e di pensare. Le donne vivono insieme e s’incontrano in continuazione, spesso di pomeriggio fanno delle feste e lì gareggiano per determinare chi è la più bella o chi è vestita meglio. E’ un’altra realtà rispetto a quella europea, ma esiste. Lì vedi anche l’espressione della femminilità arrivare al massimo: parliamo di donne molto femminili”.

Da cosa viene, secondo lei, tanta femminilità?

“Dalla cultura: dalla loro tradizione. Anche se al momento questi posti sono in fase di grande apertura verso l’Occidente c’è, contemporaneamente, un grande ritorno e attaccamento alla memoria. La tradizione è l’identità di un popolo ed è fondamentale rispettarla: non possiamo essere tutti uguali, è noioso. Vedere le tradizioni di un popolo ti fa scoprire il fascino di quel Paese, l’omologazione culturale toglie sapore alla bellezza. Copiare non è valorizzare”.

Cosa vorrebbe far presente a chi oggi si avvicina al mondo della moda?

“Vorrei dire che bisogna recuperare il gusto e il valore dell’artigianato che purtroppo inizia a scarseggiare. Abbiamo perso tanta professionalità, senza pensare che il valore del Made in Italy viene proprio dallo spessore del suo artigianato. Purtroppo oggi mancano le sarte, le ricamatrici, i falegnami, chi fa le scarpe: i giovani non sono più in grado di raggiungere dei virtuosismi artigianali perché non c’è stato il passaggio delle consegne e chi vuole approcciarsi a questo mondo non ha più i riferimenti per farlo. Il futuro va verso la tecnologia, ma le cose belle, quelle che si tramandano non sono fatte di plastica. Abbiamo bisogno di tornare a capire e a rispettare la qualità in tutte le sue forme. Mi piacerebbe che questo messaggio arrivasse alle scuole e alle famiglie, perché tornare a capire la qualità vuol dire allontanarsi dalle bellezze finte”.

Mercoledì 26 lei sfilerà per i bambini dell’Africa a cui “Mondo Solidale Onlus” dedica la serata

“Si, e mi fa molto piacere partecipare a questo evento perché quello che facciamo è sempre e solo una goccia, ma tante gocce fanno la differenza. Aiutare i bambini e queste onlus è giusto perché il mondo è uno, e se va male, se una cultura soffre, la sofferenza arriva anche a noi che viviamo nel benessere. Un sorriso vale cento volte un conto in banca e questo discorso per me che sono palestinese, e sono fiero di esserlo, è estremamente importante”.