Roma
L'Accattone, un paraculo senza fissa dimora. Franco Citti prigioniero del suo personaggio
di Patrizio J. Macci
Franco Citti "ex borgataro diventato attore", sottoproletario della periferia romana scomparso in una sera di gennaio che per uno scherzo del destino climaticamente somiglia al mese di novembre, rimarrà per sempre il volto del personaggio "Accattone" nel film di Pier Paolo Pasolini: un po' bullo, un po' smargiasso, un po' eroe della giornata da "svoltare" a tutti i costi e un po' vigliacco. Aveva 80 anni.
Così raccontava il momento che avrebbe truccato le carte della sua vita per sempre: "È stato un incontro fortunato. Per lui e per noi. Non immaginavo che quell'uomo timido ed educato mi avrebbe e ci avrebbe -a me e mio fratello- cambiato l'esistenza. Pier Paolo usava un linguaggio che nessuno da noi aveva mai sentito, aveva modi sinceri, onesti, un mondo tutto suo da far accettare".
L'interpretazione di Vittorio Cataldi detto Accattone, un diseredato abitante di una borgata che sembra ritagliato sulla figura di Citti ("io e mio fratello non avevamo una lira, anzi avevamo tutti e due lo stomaco con i crampi della fame e basta"), film che inizialmente doveva essere prodotto da Federico Fellini, è l'esordio folgorante sul grande schermo che nel 1961 gli apre la porta di un mondo nel quale è destinato a rimanere. Pier Paolo Pasolini lo tiene vicino a sè come un vero e proprio "lessico vivente" della romanità ad un un'unica condizione: che rimanga sempre se stesso, senza sovrastrutture e pose.
Il personaggio di Accattone nasce in trattoria davanti a un trancio di pizza e un bicchiere di vino bianco consumato insieme a Pasolini. Citti aveva raccontato a Pasolini la storia di questo "robin hood" dei poveri il cui unico scopo era quello di rimediare la giornata per sopravvivere, chiunque poteva essere oggetto delle sue ruberie, basta che fosse più povero di lui. Un paraculo senza fissa dimora, uno che accattonava la vita insomma. All'epoca c'era l'abitudine di dare i soprannomi, il tizio diventò una leggenda metropolitana con il nome di "Accattone", tutti ne parlavano o narravano qualche sua impresa truffaldina ma nessuno sapeva bene chi fosse. Neanche Citti.
A Pasolini il personaggio rimane impresso, anzi se ne innamora a tal punto da scriverci sopra un soggetto. La parte di Accattone è un vestito che calza a pennello per Citti, in un film con personaggi intrisi di amore, di vita, di morte e di povertà.
Pasolini si avvale ancora della sua interpretazione nel 1962 per "Una vita violenta" e "Mamma Roma", nel 1967 per "Edipo Re" e nel 1971 in "Decameron". Citti interpreta anche una pellicola diretta dal fratello Franco sceneggiata da Pasolini "Ostia". Pasolini lo chiama poi a recitare nel 1972 nei "Racconti di Canterbury" e nel 1974 ne "I fiori delle mille e una notte". E poi "Casotto" con Gigi Proietti fino all'interpetazione di un picciotto ne "Il Padrino Atto Terzo", il teatro con Carmelo Bene e i "poliziotteschi".
Dopo l'omicidio di Pasolini, in un momento di amarezza profonda, le sue ultime parole da "ragazzo di vita": "Lui è morto e io mi sono accorto che la parte migliore della mia vita se n'è andata e che ho cominciato a morire con lui. Sono convinto che mi sta aspettando, che gli devo andare appresso. Per questo ormai dico a tutti che sono in viaggio verso il cielo, anzi verso il Paradiso, se esiste, perché uno come Pier Paolo, uno che è stato odiato come lui, solo per aver dato alla gente tanto amore, non può essere andato che lì.
Voglio morire per essere il primo ragazzo di vita che va in Paradiso".