Roma
L'algoritmo si laurea in legge: arriva l'avvocato digitale e scatta la rivolta
L'algoritmo “la legge per tutti” solleva le ire degli avvocati: “Alexa non potrà mai essere avvocato, manca della capacità di discernere la notizia"
Gli avvocati non servono più almeno per le consulenze. Un'intelligenza artificiale cercherà di costringerli, almeno per ora, ad occuparsi solo di processi. E come per altre categorie, l'innovazione digitale rischia di mietere posti di lavoro ma anche di avviare un percorso che con la cultura della professione non c'entra nulla. Così al caos estivo dei processi, si aggiunge la nuova bufera: può un algoritmo sostituire un avvocato?
Dall'avvocato e professore Enrico Napoletano, uno dei legali più esperti d'Italia in diritto ambientale, riceviamo una serie di considerazioni sul ruolo dell'algoritmo nelle materie legali.
“A quanto pare un agosto già rovente per la classe forense si è acceso ulteriormente nelle ultime settimane grazie all’annuncio online del prossimo lancio del tool de “la legge per tutti” (fondata nel 2008 da collega milanese, Angelo Greco), che conferirà una sorta di “laurea honoris causa” in giurisprudenza ad “Alexa Echo” e l’abilitazione all’esercizio della professione legale
E pensare che questa è una nobile professione intellettuale per l’esercizio della quale è indispensabile superare un esame di Stato per dimostrare di aver acquisito – in esito a un percorso non privo di difficoltà (18 mesi di praticantato presso uno studio o la frequenza obbligatoria della scuola delle professioni legali o ancora formule innovative di tirocini presso i Tribunali circondariali o anticipati per gli studenti laureandi più meritevoli) – le necessarie competenze professionali, deontologiche e umane prima di cominciare a poter indossare – almeno per noi penalisti – la tanto amata toga e spendere il titolo di Avvocato nell’interesse di coloro che ci affidano in gestione i loro problemi con la Legge.
Enrico Napoletano, Enzo Musco diceva: "Neanche dopo 20 anni dgni della toga"
Eppure il mio maestro, Enzo Musco, purtroppo prematuramente scomparso, mi ricordava sempre e con molta umiltà che nemmeno dopo un ventennio di professione forense possiamo ritenerci ancora del tutto degni di indossare la toga con rispetto per le nostre ancora e sempre incomplete conoscenze: eh già, quella “retorica socratica” che ha accompagnato con molta umiltà i miei giorni da giovane praticante nella consapevolezza di “sapere di non saperne” e, quindi, di ricercare costantemente “quel sapere” tra le sempre più autorevoli fonti accademiche e giurisprudenziali di riferimento, per trovare un mio piccolo spazio nel mercato forense.
È l’umiltà intellettuale che ci guida al costante aggiornamento professionale nella ricerca e selezione tra le più autorevoli fonti giuridiche in materia che mi porta a sollevare una domanda: “Alexa sa di non sapere?” Se si tratta, come in questi giorni ha cercato di banalizzare la consigliera Carla Secchieri, del Congresso Nazionale Forense – di un semplice algoritmo, privo di una propria I.A., che si limiterà a leggere all’utente solo notizie e informazioni giuridiche, come saprà se il contenuto della notizia giuridica che viene riferita all’utente sia vera (in fatto) e fondata (in diritto) oppure no? Da quali fonti aperte attingerà? Fonti autorevoli e qualificate o, più banalmente, fonti sovrapponibili alla richiesta dell’utente senza alcuna verifica della fonte? E, viceversa, come, invece, sostenuto dal suo fondatore, se si tratterà di un vero e proprio “Avvocato digitale” con cui l’utente potrà interloquire per chiedere lumi in merito ad un problema legale – di qualunque natura esso sia – come farà questo a riportare al richiedente una consulenza – o meglio, un parere pro veritate – senza quella necessaria capacità di comprendere il caso specifico da cui origina il problema?
"Alexa non potrà mai essere un avvocato in grado di rendere un parere su qualunque branca giuridica"
Forse, in un sistema giuridico di common law questo approccio per precedenti analoghi potrebbe anche avere in sé una sua ratio ma nel nostro sistema giuridico appare assolutamente fuorviante nella formazione della problematica e della risoluzione offerta all’utente. Alexa non potrà mai essere un avvocato in grado di rendere un parere su qualunque branca giuridica: innanzitutto, perché non è in grado di comprendere nel dettaglio la questione fattuale che le verrà rappresentata dall’utente, in ogni sua sfaccettatura (la comprensione del c.d. cavillo tecnico), limitandosi unicamente ad elaborare la richiesta dell’utente per “associazione di casi e di parole” e avviare la ricerca su fonti aperte; in secondo luogo, in fase di acquisizione della notizia più pertinente al caso, ricercando su fonti aperte (articoli giuridici, note a sentenza, massime di giurisprudenza e sentenze estese), manca della necessaria capacità di discernere la notizia vera da quella falsa, la massima di diritto pertinente da quella che non lo è, attesa l’incapacità di comprendere compiutamente la massima nel contesto del fatto che ha generato quella sentenza; in ultimo, anche in presenza di un precedente giuridico analogo rinvenuto da Alexa e apparentemente sovrapponibile a quello rappresentato dall’Utente, nel sistema giuridico italiano anche in presenza di un precedente analogo al caso rappresentato, questo non è garanzia di egual esito risolutivo della questione: il fatto storico ha una sua dinamicità che, nel cavillo tecnico, non corrisponderà mai a un precedente già giudicato.
Alexa, quindi, “non sa di non sapere” ed è questo il rischio più grade a cui andremo incontro: la restituzione agli Utenti di pareri legali o, se li si vuol banalizzare, delle consulenze, fuorvianti nella profonda comprensione del problema giuridico e della possibile soluzione offerta perché, a differenza di noi giuristi, Alexa non percepisce la necessità di aggiornarsi e ricercare la fonte più autorevole, tipica, invece, di una mente umana.
Alexa, però, non è limitata solo nella sua architettura: non è un data base, non è una enciclopedia giuridica, non è una laureata in giurisprudenza e men che mai un avvocato, manca dell’aspetto più importante che il Maestro Carnelutti ha insegnato, invece, a tutti noi giuristi: “Molte professioni possono farsi col cervello e non col cuore. Ma l’avvocato no. L’avvocato non può essere un puro logico, né un ironico scettico, l’avvocato deve essere prima di tutto un cuore: un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere su di sé i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce. (…) e che tutti vedono nella toga il vigile simbolo di questa speranza... Per questo amiamo la nostra toga”. Alexa non sarà mai tutto questo. Ora, torniamo a fare gli Avvocati e tuteliamo la dignità di questa magnifica professione.