Roma

L'ex sindaco chirurgo Marino sale in cattedra. “La Raggi cadrà sul Bilancio”

“Scrivere il Bilancio di Roma è opera ardua, che richiede visione e competenza”

L'ex sindaco Ignazio Marino sale in cattedra per una lectio magistralis su come scrivere il bilancio della capitale e su come far tornare i conti che non tornano.

E sul suo sito internet pubblica una lunga riflessione da “professorino”, forse anche per rinfrescare la memoria a qualcuno, parlando a nuora perché suocera intenda. Partendo con un vaticinio alla Otelma: “Non leggo il futuro, ma da mesi ho sempre affermato che se la Giunta Raggi cadrà, cadrà perché non riuscirà a scrivere il Bilancio. Roma è un organismo complesso, dove le scelte della gestione dei rifiuti s’intrecciano con quelle urbanistiche e le strategie per il trasporto pubblico con la viabilità. Dove ogni decisione dell’amministrazione può avere effetti pesantissimi sulla vita di interi quartieri o di singole famiglie”, scrive Marino.

E via con la lezione che parte dall'epoca di Andrea Doria Panphili per arrivare ai tempi cupi di Alemanno: “Scrivere il Bilancio di Roma è opera ardua, che richiede visione e competenza. I conti di Roma hanno una storia che risale ai giorni successivi alla Liberazione dall’occupazione nazista, il 4 giugno 1944. Quando il principe Filippo Andrea Doria Pamphilj venne designato alla carica di sindaco, il 10 giugno 1944, si discussero subito due temi: l’ordinamento amministrativo della città (dopo l’abolizione del governatorato, istituito nel 1925 dal regime fascista) e il problema dell’enorme disavanzo. Le scelte giuste furono purtroppo subito disattese. Infatti, si rinunciò a un ordinamento che assicurasse autonomia alla Capitale (nonostante la necessità di una legge speciale per Roma, in quanto Capitale, fosse stata indicata dalla stessa Giunta Pamphilj) e si affrontò il disavanzo con il metodo più facile: contributi dello Stato e mutui della Cassa Depositi e Prestiti, impostazione, questa, che ha creato debiti enormi per i nostri figli e nipoti, e che sarebbe divenuta stabile e duratura nei sessantanove anni successivi”. E poi prosegue: “Gli anni dal 1944 al 2008 videro la città investire in case, infrastrutture, opere architettoniche, alcune molto utili, altre incompiute, con il risultato di creare ulteriori rilevanti debiti a carico delle future generazioni”.

Fino a giungere al sindaco che lo ha proceduto: “Nel 2008, quando iniziò la sindacatura di Gianni Alemanno, Roma aveva raggiunto un totale di ventidue miliardi e mezzo di euro di debiti. Tutto questo non indusse l’allora sindaco a contenersi. Fra il 2008 e il 2013, la Giunta Alemanno aprì, infatti, tutti i possibili rubinetti della spesa, in particolare nelle aziende municipali, dove si procedette a una politica di nuove assunzioni di impiegati, quadri e dirigenti, spesso inutili in rapporto ai servizi erogati”.

A futura memoria, Marino racconta le sue gesta per colmare l'enorme buco.
“Quando fui eletto, nel 2013, non solo il Comune non aveva il Bilancio, così come non lo avrà dal 1 gennaio 2017, ma il quadro generale dei conti era sconvolgente: debiti per ottocentosedici milioni di euro, zero euro per gli investimenti, zero euro per il trasporto pubblico locale, zero euro per la manutenzione delle strade, zero euro per la sicurezza degli edifici scolastici, zero euro per nuove case per i più deboli, zero euro per nuovi asili nido, e così via. Ricordo bene come dovetti impegnare per il Bilancio 2015 oltre venti milioni di euro solo per saldare debiti, come le bollette della luce e dell’acqua, relativi agli anni 2010, 2011 e 2012: soldi spesi dalla Giunta Alemanno, ma mai pagati. Per tutti questi motivi, la mia priorità fu portare Roma nella trasparenza e nella solidità contabile”.

Tagliare senza remore sprechi di risorse pubbliche e riconoscere a Roma risorse certe e stabili per le funzioni proprie di una Capitale di una nazione del G7: queste le priorità individuate dal sindaco e dal suo staff.
“Decisi di ridurre, entro il 2016, la spesa del Comune di quattrocentoquaranta milioni di euro, eliminando inaccettabili sprechi nell’acquisto di beni e servizi. Ma volevo che il Governo Nazionale riconoscesse permanentemente i costi aggiuntivi che Roma deve sostenere per svolgere le funzioni di Capitale. Centrammo tutti gli obiettivi che erano direttamente dipendenti dalle decisioni del Comune. Purtroppo, il nodo del finanziamento del trasporto pubblico e di un adeguato trasferimento di risorse dalla Regione Lazio non fu risolto per la indisponibilità del presidente Zingaretti a trasferire a Roma almeno lo stesso finanziamento che hanno, rispettivamente dalla Regione Lombardia e dalla Regione Campania, città molto più piccole come Milano e Napoli”.

L'ex sindaco alla fine dà anche tre consigli ai successori, tre punti ritenuti essenziali.
“Punto numero uno: molte attività condotte fino ad oggi all’interno del sistema comunale possono essere svolte dai privati e il Comune può acquistare i servizi che gli occorrono con gare pubbliche, a prezzi di mercato. Punto numero due: Roma invece di inseguire nel Bilancio crediti inesigibili deve riscuotere tutti i crediti immediatamente esigibili. Punto numero tre: Roma deve sostenere costi ingenti giacché Capitale d’Italia. La città ospita continuamente manifestazioni sindacali, eventi politici, culturali, religiosi, diplomatici: in genere quasi millecinquecento eventi ogni anno. Il 15 ottobre 2014 ottenni che per la prima volta venisse inserito nella legge di stabilità una voce che riconosceva a Roma i costi di Capitale della Repubblica. Questa voce deve quindi essere rinegoziata con il Governo Nazionale Italiano”, scrive.