Roma

L'inceneritore di Copenaghen: ormai è solo una leggenda metropolitana

“Rifiuti importati per farlo funzionare a pieno regime e il Comune danese ci ripensa”. Lo scrive il magazine Economia Circolare

Sull’inceneritore di Copenaghen i dati raccontano un’altra storia. L’impianto con pista da sci di Amager Bakke è moderno e dotato di tecnologie all’avanguardia, ma condanna la Danimarca a importare rifiuti dall’estero per alimentarlo. Così il governo fa retromarcia e annuncia: entro il 2030 capacità di incenerimento ridotta del 30 per cento e stop all’import.

A raccontare quella che ormai è una leggenda metropolitana è il magazine EconomiaCircolare.com in un articolo dettagliatissimo a firma Tiziano Rugi.

Scrive Economia Circolare: “Tanto per cominciare, la progettazione stessa dell’inceneritore di Copenaghen è stata abbastanza controversa. Perché si tratta di un impianto troppo grande. A rendersene conto era stato lo stesso comune di Copenaghen, che dapprima nel 2012 rifiutò il prestito da 534 milioni di euro per la costruzione e poi chiese un aggiornamento del progetto per un impianto più piccolo. Il timore era di dare un segnale poco virtuoso alla cittadinanza: bruciare invece di riciclare. Ma erano in ballo investimenti milionari e la società che si occupava del progetto si oppose alla modifica. Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche, a sbloccare l’impasse fu l’intervento del governo. Sebbene venisse confermata la capacità di trattare 560mila tonnellate di rifiuti, l’accordo che diede il via ai lavori prevedeva il divieto per  Bakke di importare rifiuti aggiuntivi a quelli prodotti dalla capitale danese. Nel 2016, però, prima ancora dell’inaugurazione, quel limite è stato rimosso. Attualmente l’inceneritore di Copenaghen brucia anche biomasse in un impianto aggiunto in corso d’opera alle due linee inizialmente previste”.

Basta un guasto per far saltare i conti

Ancora Tiziano Rugi: “Eppure, una delle due linee del forno a fine aprile è andata fuori uso per lo scoppio di un incendio nella sala dei pistoni idraulici che spingono i rifiuti nella stufa. L’incidente costerà tra gli 8 e i 10 milioni di euro e purtroppo vanta dei precedenti. Nel 2017 l’inceneritore è stato spento per quattordici giorni dopo la scoperta di un errore di progettazione che impediva di gestire i cambi di temperatura durante il processo di combustione. Anche in quel caso, ritardi e perdite per milioni di euro. Fortunatamente gli incidenti non hanno causato danni alla popolazione, come è accaduto nella vicina Olanda, quando nel 2015 un guasto nell’altrettanto moderno inceneritore di Harlingen ha sprigionato una nube di fumo nero. In quell’occasione, i rilievi compiuti da Toxico Watch e Zero Waste Europe riscontrarono nei dintorni tracce maggiori di diossine nelle uova delle galline. Le due associazioni ambientaliste hanno realizzato studi simili su uova, muschi e aghi di pino anche vicino ad alcuni inceneritori di ultima generazione in Francia, Repubblica Ceca, Spagna e Lituania. Con gli stessi risultati. Se non è una pistola fumante, sicuramente è uno stimolo alla riflessione”.