Roma

L'Italia che non riesce a decidere: Gian Maria Fara racconta il Paese del “nì”

“L'Italia del 'nì', 100 appunti per capire un Paese complicato: il nuovo libro del presidente dell'Eurispes, Gian Maria Fara

Italia eternamente in conflitto con se stessa; un Paese che non riesce a decidere, che non riesce ad esprimersi in maniera definitiva con un “No” o con “Sì”. Gian Maria Fara, sociologo e Presidente dell'Eurispes torna in libreria con il suo ultimo libro, L'Italia del “nì”. 100 appunti per cercare di capire un Paese complicato (Edizioni Minerva), con la prefazione di Michele Ainis.

 

Cento “appunti” per descrivere l’Italia, le sue contraddizioni, i problemi che la affliggono, le sue abitudini, le sue sfide e il futuro possibile. Cento appunti ovvero “piccole particelle di memoria” che possono aiutare a recuperare il ricordo e la consapevolezza di «situazioni che forse sono state, in molti casi, sommerse dal diluvio dell’informazione che tende a cancellare l’origine delle cose, a dimenticare il passato, anche recente, per consegnarci ad un presente senza futuro e senza pretese».

gian maria fara libro
 

Scrive Fara: «Sul piano istituzionale, mai, come nella storia recente, si erano potute osservare una tale “capacità di indecisione”, una così grande confusione di ruoli e di responsabilità, una così netta separazione tra dichiarazioni, annunci e fatti. Una così grande distanza dal sano buon senso”».

Il volume è una raccolta di riflessioni ad ampio raggio, scritte nell’arco degli ultimi sette anni (2019/2013): un lasso temporale attraversato da cambiamenti politici e piccole grandi rivoluzioni di scenario, anche socio-culturale. Un settennio che ha visto l’Italia passare da governi “non eletti” all’ascesa del Movimento 5 Stelle e dell’“esperimento gialloverde”; un periodo di tempo attraversato da due campagne elettorali europee, due campagne elettorali nazionali e numerose consultazioni regionali.

Il gioco di ricostruzione del “day by day”, che costituisce la struttura del testo, è invertito dal punto di vista temporale: la prima nota è l’ultima scritta in ordine cronologico. Andando avanti nella lettura, è evidente l’attualità del pensiero: ciò che è stato scritto sette anni fa torna ad essere quanto mai attuale, nonostante lo scenario sia (apparentemente) cambiato.

Michele Ainis firma la prefazione al libro e osserva che «l’autentica lezione che Gian Maria Fara consegna ai suoi lettori, si condensa nell’analisi del rapporto fra Stato italiano e società italiana. Un rapporto di separazione, se non di contrapposizione».

Scrive ancora Ainis: «Siamo rimasti intrappolati in una rete di inefficienze e di egoismi, pubblici e privati, individuali e collettivi. Venirne fuori sarà dura, ma non potremo mai riuscirci senza una più matura consapevolezza dei guai che abbiamo sul groppone. Questo libro può aiutarci, può farci aprire gli occhi. Anche perché non è scritto con lo stile pedante di chi parla dalla cattedra, né col tono ciarliero che spesso usano i sociologi. Semmai riecheggia un’opera che Gian Maria Fara certamente ben conosce, perché ne cita l’autore a più riprese: i Minima Moralia di Theodor W. Adorno. Una raccolta di aforismi, ed è per l’appunto, rapsodico e aforistico il discorrere di Fara».

«Un sociologo» diceva Gesualdo Bufalino «è colui che va alla partita di calcio per guardare gli spettatori». Gian Maria Fara, è a sua volta un sociologo, però il suo sguardo viaggia sul campo da gioco, non solo sugli spalti. Quel campo è il perimetro delle nostre Istituzioni; sulle tribune, vociante e scalpitante, si affolla invece la società italiana. Che rapporto corre fra attori e spettatori? E fino a che punto i primi vengono influenzati dai secondi? O viceversa: quanto Stato circola nella società civile, quanto senso di comunità, d’appartenenza a un unico destino? Porsi questo tipo di domande significa interrogarsi sulla qualità della democrazia italiana, sulle sue trasformazioni, sulle degenerazioni. Pillole di buon senso, così potremmo definire queste note. Quel buon senso che, in genere, se ne sta nascosto per paura del senso comune, come diceva Alessandro Manzoni.