Roma
L'origine dei mali di Roma è nelle Giunte Rosse. Il Pd processa Pci e Pd
Argan, Petroselli e Vetere: dalla Milano da bere, alla Roma da spolpare”
di Patrizio J. Macci
L'esperienza delle “giunte rosse” guidate dai tre sindaci comunisti della Capitale (Argan, Petroselli e Vetere), raccontate da chi le ha vissute in prima linea. Paolo Ciofi firma, pochi mesi prima delle elezioni che hanno portato all'elezione del primo sindaco donna del Movimento 5 Stelle con il volume “Del governo della città - L'esperienza delle “giunte rosse” per un'altra idea di Roma” Bordeaux Edizioni, uno spietato atto d'accusa nei confronti dell'attuale dirigenza del Pd e del candidato sindaco targato Partito Democratico sonoramente bocciato dal risultato delle urne.
La critica negativa di Ciofi si estende anche all'operato dei sindaci Rutelli e Veltroni: il piano regolatore approvato durante la consiliatura di quest'ultimo, viene definito come uno dei peggiori.
Negli anni dei “sindaci comunisti” che racconta, Ciofi è stato segretario regionale del Pci, segretario della Federazione romana e vicepresidente della Regione Lazio. “Senza che nessuno dei miei compagni di partito fosse mai oggetto di indagini giudiziarie”, precisa con una punta di delusione nei confronti del presente. Il Partito era “antropologicamente diverso", l'Italia usciva dagli anni bui del terrorismo, un ragazzo scapigliato di nome Renato (Nicolini) portava i romani al cinema all'aperto, le piazze brulicavano di una vita che non era quella dell'attuale movida consumistica.
“Ribellarsi è necessario, ma non basta” dice l'autore nella prefazione. Il suo contributo al dibattito di cosa fare dopo Mafia Capitale” è una miscellanea di scritti e interventi su Roma e la sua crisi, la trasformazione in una metropoli europea mai compiuta, gli uomini e le idee delle quali riappropriarsi per comprendere le contraddizioni del presente.
Le “nuove povertà”, la disoccupazione, la crescita esponenziale della rendita immobiliare sono i mali che lentamente hanno spolpato la città rendendola di fatto un'agglomerazione sociale che svalorizza il lavoro e distrugge l'ambiente, attizza conflitti di classe di genere contro i lavoratori e contro le donne, alimenta guerre tra poveri segnate da fondamentalismi religiosi e da esclusioni etniche. Il destino della “città più bella del mondo” scivola su un piano inclinato, senza possibilità che la politica possa fare nulla. I partiti sono ridotti a “comitati d'affari, larve senza corpo né anima”. Non ci sono più gli uomini e neanche la visione per cambiare le cose.
Il volume ha una preziosa appendice con la mozione di Enrico Berlinguer del 1984 e la proposta di legge del Pci del 1986. Probabilmente gli ultimi due tentativi di elaborazione critica dei problemi dell'Urbe, ma era già iniziato il tunnel che avrebbe portato al modello culturale dominante della “Milano da bere” e, come chiosa l'autore, della “Roma da spolpare”.