La Capitale "infetta" dalla corruzione. Appalti, il libro-verità di Alfonso Sabella
di Patrizio J. Macci
Più di sessant'anni sono trascorsi dall'articolo di Manlio Cancogni uscito sull'Espresso dell'11 dicembre 1955, destinato a diventare un classico del giornalismo e un ritornello quando si parla dei mali di Roma. Il titolo in copertina urlava "Capitale corrotta=nazione infetta". Il pezzo era una denuncia del dilagare della speculazione edilizia a Roma, che estendeva la diagnosi della malattia a tutta l'Italia dopo aver analizzato lo stato delle cose nella Capitale.
La situazione non è cambiata molto se Alfonso Sabella prende spunto proprio da quel titolo per il suo libro, dove racconta l'esperienza di assessore alla Legalità di Roma Capitale dal dicembre 2014 all'ottobre 2015.
"Capitale Infetta. Si può liberare Roma da mafie e corruzione?" (Rizzoli Editore) scritto a quattro mani con Giampiero Calapà che lo ha coadiuvato (in maniera eccellente vista la scorrevolezza del libro) a mettere su carta gli eventi sul filo della memoria ancora vivida. Arrivati all'ultima pagina, si può dire che sono stati i giorni più complessi di un magistrato che ha impegnato parecchi anni della sua vita professionale nella ricerca e cattura di boss mafiosi del calibro di Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca.
Sabella, che nel racconto usa spesso l'aggettivo "sbirresco" in riferimento al suo tentativo di mettere ordine nei giochi sporchi che trova all'interno del Campidoglio e nel verminaio degli appalti che regola la vita della macchina dei "lavori pubblici" del Comune di Roma, si è scontrato quotidianamente con regolamenti fumosi e cavilli, arresti, personaggi da mettere alla porta e "gazzettieri" che gli remavano contro; durante la sua esperienza con il Municipio di Ostia dove tenterà di sbrogliare la matassa intricatissima delle concessioni balneari, subisce violenti attacchi sui social network da sedicenti comitati antimafia e personaggi oscuri. Un lavoro avviato ma del quale non riuscirà a vedere la fine perché il X Municipio verrà sciolto e commissariato, con l'accusa di inquinamento mafioso dopo l'arresto del suo presidente dimessosi pochi mesi prima.
Il magistrato siciliano non aveva mai immaginato di doversi trovare davanti a un meccanismo simile: criminali in giacca e cravatta, funzionari corrotti e adulatori di corte che spediscono casse di pregiatissimo champagne o inviti a cena in lussuosissimi ristoranti per vincere gare d'appalto.
Dal 1993 al 2001, con le giunte di Francesco Rutelli la sola "celeberrima" cooperativa 29 giugno di Salvatore Buzzi si era aggiudicata undici appalti per per oltre cinquecentomila euro. Tra il 2001 e il 2008. Con Walter Veltroni sindaco, gli appalti per la stesa cooperativa erano diventati sessantacinque, per un totale di oltre tre milioni e mezzo di euro. Ma - fa notare Sabella - erano giunte di sinistra, l'attenzione per il sociale era nel loro dna elettorale e politico. Con Alemanno in Campidoglio sempre Buzzi con la stessa cooperativa sfonda il tetto degli otto milioni di Euro con cento appalti. La corruzione e la mafia non hanno bandiera politica ma sguazzano nel brodo di una classe dirigente inadeguata, infilandosi nelle pieghe dell'impreparazione dei suoi funzionari che si nascondono dietro la logica del "ad culum parandum": non fanno nulla per non rischiare il proprio fondoschiena, cioè la poltrona.
L'apoteosi della narrazione è la scoperta di un bando dove sette punti su cento venivano conferiti al "grado di emozionabilità della commissione giudicatrice". Ovvero più forte è l'emozione che l'esame di un progetto suscita nella commissione incaricata di valutare, più punti vengono ottenuti. Sabella, che nella sua attività professionale ne ha viste di tutti i colori, rimane senza parole. I lettori del libro proveranno raccapriccio, invece, nel vedere come vengono spesi i loro soldi.