La nuova rivoluzione della donna. Altaroma: da rampante a sorniona
di Tiziana Galli
Forse qualcosa sta cambiando e non ce ne siamo ancora accorti, ma la moda, che riflette gli usi e i costumi del momento, sta disegnando il profilo di una realtà profondamente diversa dai tempi passati. Sarà un prodotto della crisi? Chi può dirlo. Ma la domanda giusta è: in quale direzione stiamo andando?
Alla seconda giornata della maratona della moda si può già fare un bilancio: i canoni di bellezza sono variati e non è più la femminilità aggressiva o rampante a solcare le passerelle, ma l’espressione muliebre di una donna più sorniona, a volte sofisticata, altre volte semplice, ma mai banale. I maquillages sono diventati minimali, le acconciature essenziali; i volti delle modelle, a volte tradiscono persino la stanchezza, senza neanche dover parlare. Da cosa dipende? Di certo ora non c’è più rischio di distrazione, se gli abiti sono belli o brutti si vede subito. E così, a palazzo Ruspoli, Anton Giulio Grande, lo stilista delle dive ha portato tante piccole donne-gattine per ricreare l’ambientazione dell’antica fiaba della “Gatta bianca”. Le modelle, inguainate in meravigliosi capi bianchi, neri o ruggine, interamente ricamati a mano, posavano ammiccanti sui morbidi e lussuosi divani del palazzo o sullo storico letto a baldacchino di Napoleone III, ricreando una suggestione decadente ma sicuramente d’effetto.
Gli abiti, ricchissimi e intarsiati da pizzi, jais e spalline ricamate, pur nella loro sfacciata trasparenza rimanevano sempre di gusto ed estremamente delicati, dando all’osservatore la sensazione di non trovarsi all’interno di una sfilata, ma nell’intrigo di una favola.
Ha superato se stessa Raffaella Curiel presentando una collezione basata sulla natura. I colori accesi dei suoi capi riempivano gli occhi esaltando le forme con le loro rifiniture sempre impeccabili: rosa, glicine, giallo, verde acceso e fuxia. La linea a corolla stretta in vita si ammorbidiva sui fianchi e le scollature, quasi sempre moderate, profilavano l’immagine di una donna che non a tutti concede il lusso di vederla scoperta. Sete, broccati, voile e tanti ricami. Immancabili anche outfit in black and white perché come la stilista cosmopolita ha affermato: “il bianco e il nero puoi vestirlo in tutto il mondo”.
Terza e ultima stilista degna di nota Giada Curti, che ha sfilato al St. Regis come ormai di consueto. Interamente ispirata alla marchesa Casati, la donna che stregò D’Annunzio, la collezione della Curti propone un’ideale femminile sicuro del proprio fascino. Una donna audace, vestita dell’essenziale e sempre intimamente incisiva. Una donna che sembra vestita anche quando è spogliata perché è il mistero a coprirla, ma anche una donna che vuole essere immaginata nuda quando è coperta. Bianco, nero e smeraldo i colori della seduzione.
Cambia con un volo pindarico il punto dell’osservazione per planare in via Bocca di Leone 91 alla presentazione della collezione Silverwear 2016 con la linea “il Sacco di Roma” del marchio Pampaloni. All’inaugurazione della linea era presente persino il presidente Silvio Berlusconi, stavolta senza Francesca Pascale alla quale è forse arrivato il pacchetto con il qaule l'ex Cav ha lasciato l'evento.
E’ una borsa in pregiatissimo pellame con il manico in palladio, quella che è stata presentata, la cui genesi deriva dalla genialità del titolare dell’azienda, Giancarlo Pampaloni e dal disegno della designer Maria Giulia Parapini. E’ lo stesso Pampaloni a spiegare il motivo di un nome così bizzarro: “La borsa si chiama “il sacco di Roma” perché il manico è a forma di freccia e la freccia è un’arma che, colpendo a distanza, in passato è sempre stata considerata da vigliacchi. Con la nascita della polvere da sparo, abbondantemente utilizzata durante il sacco di Roma del 1527, ad opera dei lanzichenecchi, la freccia si è riscattata della sua accezione negativa. Da quel momento in poi si è parlato di frecce solo riferendole a Cupido e quella che ho usato sulla borsa è una freccia degli anni ’20 dall’aspetto leggero, libero e felice".
E’ un lavoro di emancipazione degli oggetti, quello che propone Giancarlo Pampaloni che li estrapola dai loro contesti abituali per rigenerarli con una vita nuova. Anche l’uso dell’argento, materiale principe della produzione della maison, è inquadrato in un’ottica completamente diversa dal comune: “Il materiale è solo uno strumento - continua - il senso del prezioso mi è completamente estraneo. La parola “esclusivo” mi piace poco: per la precisione è l’idea di “esclusione” a piacermi poco, ed è sulla base di questo pensiero che ho impostato la mia intera produzione. Non parto dall’esigenza economica di un consumatore, ma dalla voglia di realizzare qualcosa che abbia un significato, altrimenti il valore arriva solo dalla bilancia e non dall’aspetto. Io faccio oggetti che una persona ha il piacere di regalarsi”. Il resto viene da solo.
Le immagini di Altaroma sono per gentile concessione di Valerio Canini
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